giovedì 23 dicembre 2010

Patriottismo inverso

Non so chi di voi ha mai fatto caso all'Italia. Quante differenze, da regione a regione ma anche da paese a paese, da casa a casa. Un tesserino azzurro mi rivela italiano, ma questa vera nazione non l'ho mai vista, alla fin fine credo che non molte siano le differenze da duecent'anni a questa parte, da quando i nostri coraggiosi Garibaldi, Mazzini e Cavour ci hanno faticosamente uniti in questa bizzarro stivale tortuoso. Non esiste una forma omogenea nazionale, saremo sempre il paese delle mille sfumature.
Non parliamo poi di culture e tradizioni, che bagaglio ragazzi, quante meraviglie ma anche quante lacune. Ma parliamo di montagna forza, da quanto le terre dell'arco alpino occidentale hanno smesso di essere depravate della meraviglia con cittadine orribili??
Ora s'inizia a sciare (se l'iddio decide di mandar giù un po di neve), posti come Sestriere, Cervinia, Des Alpes e Monginevro sono tappe doverose allo scopo. Dimentichiamoci del gioco, ricordiamoci del posto, credo vi balzi in mente come si presentano i "campi base degli impianti, no? Non rammento località sciistica dall'architettura cementata, qualcuno dice essere alberghi o chissà che.... sicuramente porcate, ammettiamolo su. Ecco la nostra montagna cosa diventa, una buffonata a stile libero.
Fortunatamente non è sempre così, non proprio ovunque, ci son lande ove l'intelligenza ha mantenuto un paesaggio inviolato, dove la natura non è stata schiacciata dagli insediamenti turistici, dove la discrezione ha dimostrato che forse non sono i soldi a rendere l'uomo necessariamente ignorante a tutto ciò che apparentemente non lo riguardi.
Qualcuno forse avrà inteso un riferimento agli altoatesini, un grande esempio davvero, una regione che geograficamente appartiene all'Italia da ormai diversi anni ma, in tutto e per tutto caratterizzatada mentalità poco stivalesche e molto Österreich.
Questo morboso discorso volge ad una critica precisa, l'incapacità caratterizza gran parte dei comuni italiani a non saper valutare e proteggere il proprio territorio è un dramma. Andiamo ora in Piemonte, il mio Piemonte. Paesaggisticamente forse, la più bella regione: sempre diversa, mai piatta, ovunque ci si inebria dal dolce frastuono di fiumi e affluenti del vanitoso Po che ancora sgorga pomposo dalle viscere di una delle più splendide e regali punte dell'arco prealpino, il Monviso, e che poi traversa spensierato Torino, la prima capitale, città romantica e circondata da un paesaggio montuoso unico al mondo.
Non parliamo poi di Storia che diamine, non c'è fonte o libro che vada a mentire su momenti di rilievo incredibili come appunto l'era risorgimentale, i passaggi dei franchi con Carlo Magno, di Annibale, i segni di civiltà romana, ma andiamo ancora indietro e troveremo degli insediamenti delle popolazione celtiche e così via. Ovunque si trova tradizioni e valori di grande importanza.
Un mare di averi che, fatta qualche rara eccezione (le gratificanti rivalutazioni delle langhe e monferrato) son dominati da entità locali sempre più babbee, persistenti a far conoscere alle scolaresche le viscere della FIAT piuttosto che la Sagra di San Michele. Ma fosse questo il problema. Cittadine della fama di Susa ridotte in gran parte ad un cumulo di palazzine grigie e nere che portano il malcapitato a temere l'incontro con un malavitoso del Bronks, altro che purezza montana.
Eppure, già da quelle cittadine, basta alzarsi un poco di quota sulle strade e comodamente seduti sulla poltrona dell'automobile, traversare splendidi colli ed altopiani, raggiungere finalmente la confinante Francia e trovare l'agognato paesaggio ideale. Dico paesaggio e nient'altro, perchè parte rara eccezione quelle lande non hanno bagagli storici e culturali pari al nostro, ma poco conta, poichè quel "poco" (se così vogliamo chiamarlo), basta e avanza a chi vanta l'intelligenza nel dar al luogo il giusto resoconto.
Chi non conosce chissà cosa va pensando, quali formidabili prodezze di marchio francese vado mezionare? Pulizia, ordine, rispetto, educazione alla comprensione del territorio. Basta.
Son concetti molto semplici, che però a distanza di pochi chilometri sembrano fantascentifici. Tale diversità si riconosce non solo a prima vista, dalle persone che incroci per le strade, nei rari locali e soprattutto quelle che s'incontrano in montagna. Perchè fateci caso, ad esempio, quanti giovani italiani si danno oggi all'alpinismo, o più semplicemente scarpinano, campeggiano su terreni di quel tipo? Vi rispondo, molto pochi, non v'è che scarso interesse, meglio una spiaggia affollata o quanto esiste di peggio, una chiassosa discoteca. In Francia se ne vedono parecchi, sempre allegri, azzarderei dire anche appassionati, quasi sempre educati e mai sboccati, gliele riconosco tutte accidenti.
Rammento con piacere quella volta che tornando da una lunga sfacchinata fra punte e creste delle "marittime" che fan da confine la Valle di Stura con quella dell'Ubaye, incontrai al bordo del sentiero su un grosso prato, un vero e proprio concertino di strada (meglio di monte) allestito alla bene in meglio da alcuni giovani musicisti, appunto francesi. Che grande gioia davvero, ad un italiano non credo sarebbe mai balzato in mente... ma forse pecco di prevenzione.
Ora magari alcuni andranno pensando io sia una sorta di patriota inverso, un paladino napoleonico, qualcuno vorrà legnarmi sulla zucca dicendo "non ti va bene quì? Vai in Francia allora, levati per bene dai coglioni!"
In realtà molti sono i difetti che riconosco ai nostri cugini gallici, spesso e volentieri riscontro in loro alcune rare e irrefrenabili antipatie. Nulla si può dire però sui loro pregi, appunto uno (e forse unico) quello di saper valutare il territorio, amarlo e rispettarlo. NOI NO.
Fra i "padroni" delle Alpi, la popolazione sicuramente più indegna è quella italiana, in particolare i piemontesi. Vorrei tanto essere disdetto un giorno.

In conclusione, stando quantomeno in argomento terrei dare alcune segnalazioni sulla letteratura alpinistica. Menziono quella che ritengo impropriamente la "saga franca", dei tre autori che han dimostrato essere la "crem de la crem" di quegli anni. Uno è il già ampliamente emancipato "les conquistadors de l'inutiles" di Lionel Terray. Il secondo un alpinista di cui ben poco ci si ricorda ma che tanto ha dato a questa disciplina; parlo di René Desmeison con i suoi due rispettivi "Montagne à mains nues" (La montagna a mani nude) e "342 ore su le Grand Jorasses" (non oso menzionare correttamente il titolo originale), Il primo raccolta di scalate epocali, il secondo una singola recensione della drammatica disavventura su una delle montagne più bramate e sofferte di sempre. Infine non poteva mancare il grande Gaston Rebuffàt, con il suo postumo "La montagne est mon monde", una splendida raccolta biografica, testi e recensioni alpinistiche, narrate passionatamente in prima persona e raccolte dalla sua compagna e moglie Françoise Rebuffat.
Mi permetto inoltre segnalare un film-documentario che ho avuto la fortuna di recapitare, firmato sempre Gaston Rebuffat, "Etoiles et Tempêtes" è il primo di quattro film inerenti e vicintore della 4a Edizione Trentino Filmfestival.

Finisco davvero ora, lasciandovi però un assaggio del film che conto risvegli anche ai più abietti ricordi di altri tempi e magari un sapore umile e antico.

Buone riflessioni, buone letture & buona visione!!



martedì 14 dicembre 2010

Ma cosa te ne importa?


Fondamentalmente a governare lo spirito d'avventura è sempre l'inadattamento. E' quello che porta un essere umano, che fra le altre specie si differenzia per aver instaurato una sorta di società e di civiltà che lo distacca sempre più dal sistema naturale che lo adotta, a volersi riapprociare tornando bestia, ma forse semplicemente tornare a vievre con l'umiltà che dona nella sua complessità la semplicità stessa della natura.
Il problema principale dell'alpinista, del montanaro idealista, è quello di perdersi conintuamente in discorsi esistenziali e filosofici, discorsi che vanno spesso a perdersi o che si concludono alla stessa maniera: " la montagna è bella, punto".
Ma queste parole hanno sempre un desiderio ossessivo di far tornare nelle persone il dovere interiore di proteggere la montagna. La montagna è un luogo unico, per secoli rimasto inaccessibile a certe altitudini, mistico e leggendario. Evoluzioni e tecnologie hanno voluto poi che alcuni uomini s'interessassero a volerle ispezionare, cercare di conoscere quelle arroganti vette e non più solo temerle. Nacque così l'Alpinismo, naque dal solo desiderio di "conoscere", la vera ossessione eterna dell'uomo.
In montagna l'uomo torna animale, si ricongiunge con il fisico e con il corpo al sistema naturale ed è costretto ad adattarsi di conseguenza. In montagna ci si isola, si fugge da un sistema complesso e invivibile qual'è la società, si vuole star da soli con il proprio essere. E' dunque questo il paradiso, è quì che le sofferenze morali svaniscono? No. Ad accompagnarti è sempre la malinconia, il triste dovere di tornare con gli altri, con la gente. Maledetto pianeta, maledetti sian gli uomini che lo popolano. Ma allora perchè voler portarci persone? Perchè fare conosere loro un mondo che, più o meno, ancora non hanno soppresso?
La domanda che vien fatta più spesso a chi s'infuria verso chi distorge la motivazione e lo spirito dell'alpinismo è: ma cosa te ne importa?
Eh no, mi importa eccome. Importa voler far conoscere alla gente un mondo che non è quello che si pensa, non è solo la valanga che innonda lo sventurato incoscente, non è la friabile roccia che assurdamente qualcuno vuol ostinatamente aggrapparsi, non è quel sistema terribile che credevano gli avi di Neandhertal, vi assicuro, non esistono spiriti maligni che dalle vette vogliono sterminare chi le sogna dal basso. Diversamente, la montagna è un'amica sincera, sta poi a chi vuol conoscerla avere la coscienza di valutarne i pericoli, lei non ve li nasconde, credetemi, quelle piccole nuvolette paffute che a poco a poco si uniranno formandone un temporale, è sicuro.
Chi ama la montagna, chi la conosce sente il dovere di farla conosere agli altri, non ci son segreti. Questo significa imparare e rispettare, conoscere le leggi, colui che per accorciare la discesa taglierà con gli sci un fresco pendio di neve verrà punito, giustamente. Sembrano avvisaglie stupide, ma quante ne sentiamo ogni giorno? Gente che scompare, che precipita nei crepacci più insidiosi e chi si ritrova assurdamente colpito da un fulmine su una vetta himalayana alle due del pomeriggio. Parliamo quasi mai di dilettanti allo sbaraglio, spesso guide rinomate che, per qualche soldo in più, pretendono di sottomettere il sistema ai propri bisogni e lo sotovalutano. Tutto questo viene poi usato come pretesto per dipingere l'alpinismo come disciplina stupida e assurda. Siamo tutti dei pazzi noi alpinisti. Ma tanto, cosa me ne importa? Niente.
Un domani alzeremo lo sguardo verso un versante e vedremo un'altro impianto sciistico, un'altra seggiovia, un nuovo skilift. Un altro spiraglio di selvaggio è stato sottratto, è divenuto proprietà privata perchè ritenuto valicabile con gli sci solo se spianato dalle frese, un'altro frangente che andrà a riempire le tasche di qualche imprenditore. Alla faccia della montanga e dei fessi che ci crepano.

Sia chiaro, nessuno è nato ambientalista, tantomeno chi ama la montagna, credo. Quando però si ha un contatto tanto intimo con il sistema si acquisiscono coscienze che prima nemeno ci si immaginava, si capisce per davvero che la civiltà volge inesorabilmente a rendersi artefice del proprio disastro. Sembra esserci tanta stupidità.
Oggi la società dispone di mezzi e tecnologie, ma soprattutto di cultura necessaria per capire. Mettendo a frutto tutto questo è sì possibile salvarsi, è possibile riuscere a vivere in perfetta armonia con la montagna. Non c'è più il bisogno di fuggire dal selvaggio, non è più tanto inadattabile. Oggi c'è il dovere di ritornarci, non di sopravvivere ma vivere, questo con le tecnologie giuste è possibile.
E' un passo che a molti sembra inattuabile, fantascentifico, folle, ottuso. Io dico che è solo questione di abbattere un muro, un muro d'un cemento armato di quadruplo spessore, anche un muro che gente potente e dagli interessi spietati contribuiscono ad irrobustire.
Tutto questo un giorno, forse, però, verrà capito, combattuto, sconfitto, è solo questione di evolversi quel poco che serve.
Badiamo bene però, i tempi stringono, il pianeta è ancora vivo ma stanco, malato, quasi morto.

giovedì 9 dicembre 2010

Grandeour positivo


Lo chiamavano Berobocop , così ho letto, ma soprannomi adatti ce n'è quanti ne vogliamo. Per tutti è però noto come Patrick Berhault, per me solo da ieri sera quando per caso ho imbattuto su Youtube questo impressionante reperto.
Senza sapere chi fosse, è bastata una rapida occhiata per identificare il più grande scalatore mai esistito e sfido chiunque a rimanergli indifferente.

E' beffardo, oggi con un clic del mouse chiunque può godere di esibizioni atletiche formidabili su intinerari di rocce più disperati. Non c'è nemmeno più bisogno di andare in montagna. Vediamo cimbers di prim'ordine, celeberrimi, padroni delle tecniche del verticale avvolti da scenari di oscena bellezza, al cuore di chi vede, sembra mancare un solo legame che par davvero essere "il perchè?" di tutto questo.
Scriveva nel suo libro Giusto Gervasutti « Tutto quello che mi circondava, immobile e fermo, era assente. E allora mi chiesi ossessivamente "il perchè?" La risposta non venne e forse non verrà mai.»
Diversi anni dopo, in seguito ad innovazioni storiche e sociali, in seguito all'arrivo di nuove possibilità che han dato alle persone una nuova etica di vita, un giovane francese disse la sua in merito:
"Io arrampico per sentire in me l'armonia, perchè vivo dentro l'istante, perchè c'è una forma di espressione etica ed estetica per la quale io posso realizzarmi, perchè io ricerco la libertà totale del corpo e dello spirito. E perchè mi piace. "
Beh, non sarò certo io a dar lezioni di vita ad un maestro del calibro del Gerva, ma forse un Berhault in parte l'ha fatto. Il suo "perchè" ce l'ha trasmesso con un video.

sabato 27 novembre 2010

Il prezzo della conquista

Sfortunatamente son stato costretto a trascurare il blog per un po', brutto segno, soprattutto ora che siamo agli inizi. D'altro canto ritengo sciocco prendersi impegni forzati di pubblicare sempre qualcosa al solo fine di dare tono alla pagina, trattare di montagna non necessita di "bla bla" al vento. Meglio poco e sostanzioso, se si riesce.
A beffarmi ulteriormente, in sti tempi è stata la scarsa possibilità di dedicarsi alla montagna . Si avvicina l'inverno, la candida mezza stagione si prepara a rangrinzirsi tramutando l'ambiente alpino ad una dimensione inacessibile e selvaggia. Tanto imponente quanto affascinante. l'appassionato si ritrova un poco spaesato, la palestra muta le condizioni di accesso, si accantona la sacchetta di magnesite e si spolverano picozze e ramponi, s'ambisce di poter indossare gli scarponi da sci quanto prima, frenato ancora dalle instabilità climatiche e della neve.
Fortunatamente, questa sorta di stallo è compensata in parte dalla lettura casalinga. Come già accennato precedentemente il libro di montagna è una fonte inesauribile di emozioni che gli autori riescono a trasmettere con sensazionale semplicità. O forse no, però amo pensarla così.
A farmi compagnia in queste sere è stato uno di quelli considerati "classici". Ci sono arrivato piuttosto tardi, forse mai se non fosse stato tanto menzionato da altri alpinisti scrittori come una sorta di bibbia sulla filosofia alpinistica. Scusate se ancora non l'ho nominato: parlo de "I conquistatori dell'inutile" di Lionel Terray. Splendido, ma non per come lo aspettavo.
Molto più d'un classico libro di montagna, un'autobiografia del noto alpinista francese, si pone al lettore con tutte le caratteristiche che formano un romanzo. L'autore sa bene cosa dire, narra di sé attraverso il momento più storico dell'alpinismo, menziona attentamente accenni dell'infanzia, la difficile permanenza nell'esercito durante la guerra, le terribili situazione che avvolgevana i mondo in quegli anni, il costante richiamo sfrenato della natura ai suoi uomini più irrequieti. Si autoproclama fautore ed amante delle montagne, guida alpina di valore e compagno di pertiche del periodo quali: Gaston Rebuffat, Luois Lachenal, Jean Couzy.
A cavallo delle formidabili imprese, le sue riflessioni diventano anche pompose e spaccone, ma comunque sempre ridimensionate dal titolo scanzonatorio.
A mio avviso Terray non è un filosofo della montagna (come invece mi facevan credere), piuttosto uno splendido comunicatore. Dalla sua penna non fuoriesce che la verità vissuta in quei momenti, forse meno profonda di altri, ma assai riconoscibile a chi almeno una volta si è trovato praticare alpinismo. Pagina dopo pagina riflettevo su cosa per me significhi veramente l'alpinismo, forse ancora non ne son certo.
Vorrei menzionare appunto un curioso sogno che ho avuto al termine di un racconto (spesso e volentieri amo leggere prima di dormire, intimo momento della giornata e dove in seguito si rielaborano i contenuti).
Sicuramente legato al capitolo appena trattato, l'autore narrava infatti di una terribile disavventura vissuta durante la discesa dalla vetta dell'Annapurna. Assieme ai compagni venne sommerso da una valanga e intrappolato in una buca nella neve. Ad aggravare la situazione s'aggiungono le difficili condizioni del compagno e amico Lachenal, congelato ai piedi e allucinato dalla fatica e dall'alta quota.
Nel sogno mi ritrovavo in una situazione simile, isolato e con un compagno ferito fra dei pendii himalayani, spaesato nella nebbia e acciecato dalle interperie. Invece di mostrare interesse per le condizioni dell'amico, disperavo quanto più verso uno sfreggiamento al viso (causato probabilmente dal freddo) che mi aveva deturpato le sembianze. Tutto ciò scaturiva fortissime angoscie interiori, non sapendo se abbandonare il compagno al triste destino cercando di raggiungere il campo base più in fretta possibile, salvandomi forse così da una mutilazione eterna. Come tutti i sogni poi, è terminato prima che potesse darmi una conclusione rivelatoria. Ma quanto vissuto è bastato per ragionare su come davvero potrei comportarmi in una situazione tale, forse con l'altruismo commovente del buon Terray, che concesse i suoi scarponi all'amico al fine di salvarlo dall'ipotermia, oppure pensare egoisticamente, salvando poi quella parte superficiale che meno conta in montagna ma tanto serve nel mondo degli uomini. La faccia.
Eh vabè, spero di non scoprirlo mai (soprattutto di non essermi giocato futuri compagni di cordata con queste rivelazioni preoccupanti).
Tornando al libro, quello che poi ci interessa, terminerei con menzionare una parte, una frase che mi aggiudicherà definitivamente la fama di farabutto rompicazzo. L'ultima conclusiva, lascia nel lettore una lacrima di commozione, quasi a farlo apposta, par coscente del legame maligno con la morte che toccherà l'alpinista qualche anno dopo, poco distante dal luogo in cui quel giorno terminò il suo splendido libro:

« Se veramente nessuna pietra, nessun seracco, nessun crepaccio sta attendendomi da qualche parte del mondo per fermare la mia corsa, verrà il giorno in cui, vecchio e stanco, saprò trovare la pace tra gli animali ed i fiori. Il cerchio si chiuderà ed io diventerò il semplice pastore che sognavo di diventare da bambino.
Grenoble, luglio 1961 »

sabato 20 novembre 2010

Il giardino di cristallo


Come ogni aspirante alpinista, anch'io tendo a considerare la montagna un immenso parco giochi, dove migliaia di possibilità concedano all'uomo di approciarsi nelle maniere più distinte ai ghiacci, rocce e percorsi vari. Se uno va soffermarsi su quante siano le discipline che si possono adottare per dar sfogo alla propria baldanza di conquista, ne riconosciamo davvero tante. Ognuno ha il sacrosanto diritto di sperimentare e vivere la montagna come meglio crede, purchè questo sia in rigore al rispetto del luogo, ovviamente.
Sebbene questo discorso vada a ramificarsi, mi concentrerò su quello più classico. L'arrampicata.
Per ovvi motivi considerata il top delle discipline in montagna, racchiude tutte le virtù necessarie all'ascesa più nobile. L'arrampicata negli anni si è adattata ad ogni superfici: dalla classica parete di roccia, al masso umido e lichenoso, al ghiaccio, per poi passare a quegli artificiali: dunque palestre di cemento e resina, addirittura palazzi e statue.
Arrivati quì, forse iniziamo ad esagerare.

Ma senza spingerci dove la follia umana giunge a gemere al ridicolo, fermiamoci al casello "ghiaccio". E' dunque quì a mio giudizio, s'inizia a strvolgere la ragione. Non parlo dei bianchi pendii verticali o delle terrificanti vie di misto che si ammirano tetramente sul versante nord delle Grandes Jorasse, quelle le osservo ancora con una solenne (e forse impossibile) attrazione di sfida. Arrivo al punto, scusatemi.
Quando l'inverno si fa particolarmente rigido, nella penombra delle gelide prime luci è possibile scorgere alcuni piccoli uomini armati di picozze, robuste corde e tutta l'attrezzatura che serve ad affrontare il sugestivo intinerario della cascata di ghiaccio. Un Dì, perso dalla curiosità di scoprire quali doti siano necessari per diventare alpinista di professione, ho scoperto che non v'è inteso alcuno che non abbia come bagaglio atletico una scalata di quel tipo.
Paliamo di persone che raggiungono le pendici di enormi bianchi blocchi di cristallo negli orari in cui temperature permettono una discreta sicurezza, con lenti ma saldi movimenti iniziano a risalirle scalpellando ramponi e picozze. I chiodi fungono da salvavita ancorati al fragile ghiaccio, pronti a tenere una caduta decisamente rischiosa.
Ora, me ne scusino gli appassionati, ritengo questa disciplina totalmente incomprensibile, una forzatura gratuita e mirata unicamente a sfruttare la natura nei suoi contorni più disperati. Il mio sdegno può essere visto sotto innumerevoli punti. Iniziamo da quello atletico: quì la progressione viene eseguita affidandosi totalmente ad un'attrezzatura artificiale, mai e lo sottolineo, mai, allo scalatore è permesso abbandonarsi al piacere di mollare la presa delle picozze per sentire il ghiaccio sui polpastrelli, non usufruire correttamente di un rampone ben ancorato, una caduta potrebbe rivelarsi seriamente pericolosa. In ultimis, il traguardo è inteso come la "fine dell'intinerario", concetto che si avvicina fortemente al free climbing e alle sue falesie di roccia. La differenza ritengo stia nel fatto che proggredire sulla roccia forgi una determinata capacità tecnica e atletica, destinata magari ad affrontare percorsi di montagna impegnativi. Sulla cascata le capacità tecniche si fermano alla cascata, concedendo ben poco spiraglio ad un arricchimento atletico richiesto da certe difficoltà alpine.
Concedendoci al quadro morale trovo un disaccordo ancora maggiore. Non riesco a vedere arrampicate di questo tipo degne di un appellativo alpinistico. Riconosco solo il brivido dell'estremo, abili carpetineri in preda ad una sfida disperata verso l'ambiente schivo, bellissimo sì, ma forzato ad essere solo una passerella finalizzata a se stessi. Trovo inoltre offensivo non ritenere degno alpinista colui che si sottrae a questa disciplina, come se la logica della montagna venisse meno del carattere puramente temerario.
Giudizi di questo tipo andrebbero ritenuti più considerevoli da chi vanti aver avuto almeno un approcio di questo tipo. Non sono io, semplicemente anche solo per timore, ho sempre tenuto ben lontano il desiderio di provare quel tipo di ebrezza. Al fine di farmi perdonare la saccenza, giutificherò col ribadire il concetto che motiva la mia passione verso l'alpinismo.
A rigore di ogni atto o gesto destinato in montagna, bisogna sempre rammentrsi delle logiche mirate a non evadere dal contesto atletico in un ambiente estremamente affascinante, ma pericoloso. Mantenersi discreti in montagna è comunque il metodo più saggio per amarla e rispettarla, sentimenti che dubito qualunque alpinista intenda sottrarsi.

giovedì 18 novembre 2010

Leggere rende alpinisti

Non c'è sofferenza maggiore per chi ama gli spazi aperti trovarsi costretto a restare in quelli chiusi. Questo può esser comportato da tanti fattori, elencarli ritengo sia superfluo.
Se poi questi tempi sono anche preda di noiose staticità casalinghe, allora la situazione si complica! Lo sventurato inizia dei disperati tentativi di svago che lo portino a compensare il desiderio di fuggire. Dico male? Beh, per me è così.
Tuttavia può esistere una soluzione. Come tutte le discipline avventurose, l'alpinismo è fra quelle che maggiormente si concede al racconto, per questo più che mai un buon libro gli rende omaggio. Leggete di montagna. La Tv non funziona, Film e documentari difficilmente si addicono, manca qualcosa, una delle caratteristiche più forti di questa disciplina, l'intimità. E' forse anche questo che spinge i grandi protagonisti ad esserne schivi, poco vediamo un Messner o un Bonatti in una trasmissione televisiva, giammai poi un Gogna, un Cassin (lasciatoci da non molto). Tutti loro scelgono un altro mezzo, quello che permette di trasmettere al meglio riflessioni, narrare grandi imprese, quello del libro. Il libro funziona, il libro è intimo, è un amico fedele. Sui libri si impara a vivere, in tv ad apparire. Bon, credo di averle dette tutte.
Gli autori certo non mancano, non vi è alpinista degno del nome che non abbia impugnato la penna anche solo una volta. Alcuni poi, si ricordano come vere pietre miliari.
il discorso può essere inteso banalmente, invece va a cercare un significato preciso. Oggi in montagna si va per sport e poco più, il compromesso istituito sin dagli agli inizi fra uomo e natura è stato abbattuto dalla ricerca sfrenata della forma atletica. Quello e basta.
Il libro porta invece a far riaffiorare le motivazioni, i pensieri di vecchi pionieri che ancora traevano dalla scalata una motivazione spirituale, lasciando poi alla fantasia del lettore rielaborare le vicende e spettacolarità delle ascese. Educazione, ritengo sia la forza maggiore del libro di montagna.
Detto ciò, ci si prenderà la briga di pubblicare futuri articoli sulla narratività alpinistica, affinchè premesse non generino premesse, che caspita! Anzi, a tal timore meglio cominciare subito.

L'autore è stato uno dei più grandi alpinisti di tutti tempi. Il "Fortissimo" Giusto Gervasutti. Friulano d'origine, ha operato sia nelle dolomiti che nelle Alpi occidentali, compì a cavallo degli anni trenta fra le più importanti vie alpinistiche di sempre. Ancora oggi, la sua "Via est delle Grand Jorasse" conta pochissime ripetizioni.
Fece in tempo a pubblicare il suo libro, prima di perdere la vita durante l'apertura del pilastro del Mont Blanc du tacul, che ora porta il suo nome.
"Scalate nelle Alpi" è un diario storico, acido e dalle riflessioni a tratti contorte che porta la parola d'un grande alpinista uscito troppo presto dalla scena, che ancora avrebbe dato molto.

Buona lettura!
Gentili visitatori,
questo Blog ha preso vita per motivazioni decisamente personali, vuole esister dietro l'ottica di uno sfogo ideologico diretto ad un ambiente sempre più strapazzato e reso pericolante dall'uomo.
Chi l'ha realizzato e scrive questo post ama considerarsi prim'ancora d'un amante dell'alpinismo un montanaro, forse acerbo, ma con una filosofia imposta a vivere e rispettare l'ambiente, dalle sue pendici alle vette. Viviamo oggi in una società molto meno cosciente ai problemi ambientali di quanto ci s'immagini, dimostrata da una scarsa sensibilità alle problematiche che possono comporare un indebolimento del sistema naturale del pianeta, nonostante le possibilità d'informazione che si hanno rispetto a solo cinquant'anni fa. Forse semplicemente le si ignora volonariamente. Chiunque va considerarsi un buon ambientalista prende a cuore tali incoerenze, portando avanti campagne sfegatate (spesso ornate da un incoerente fanatismo) finendo più con stufare la coscienza di chi già ne possiede poca, pittusto che smuoverla. Tenendo conto di queste difficoltà si vorrà eventualmente invogliare i lettori a riapprociarsi umilmente all'ambiente, comprendendo l'importanza che si ha nel tenerlo lontano dagli spudorati interessi umani che van quasi sempre a stravolgerlo nella sua purezza.
Questo senso d'umiltià e concezione della montagna non è certo sempre stata avvertita, piuttosto forgiata da anni d'interesse, dalla ricerca d'un mondo primordiale che desse uno spiraglio dal soffocante contesto sociale, spirito d'avventura (solite balle insomma...) ma soprattutto raccontata dai grandi pionieri, grandi alpinisti e comuni mortali che prima di me hanno saputo estrapolare dalla natura i principi su cui impostare la propria esistenza.
Come fautore del blog, ordunque, prenderò impegno a curare tale passione mantenendolo più spontaneo possibile, un punto d'incontro per chi ha idee, interessi e storie di montagna...
Innauguro questa prima presentazione, forse un po' formale, che sia la prima di numerevoli seguiti e approfondimenti.

Cordiali Saluti.