giovedì 21 giugno 2012

ANTICHI REPERTI


Mi è capitato recentemente di imbattermi in alcuni scritti di vecchia data, nascosti nel ricco e pomposo Blog de I Cuori Solitari. Ho pensato che era un po' triste e ingiusto fossero capitombolati nell'ombra; rileggendoli e trovandoli interessanti ho pensato di spolverarli e presentarli su questa pagina che, comunque, gli rende maggior giustizia in fatto di tematica.

1) Il primo Post lo trovate nella forma originaria (anche se identica) quì

Innanzitutto...

Innanzitutto, salutiamo i cortesi visitatori. Desideroso di battezzare in grande la prima pubblicazione della rubrica dedicata alla Montagna, ho pensato di partire dagli albori del suo tempo, o meglio, dall'inizio della presa in considerazione dell'uomo sotto un ottica alpinistica, quindi sportiva, ma ancor più spirituale. Per tal ragione, non ho potuto che scegliere l'impagabile alpinista triestino: l'ineguagliabile Emilio Comici. Perdonatemi tanta enfasi, torniamo ad una generazione superata, così come superate sono state, si può dire, ormai le immediate successive. Se pensiamo a quanto siamo giovani! Siamo al 19 ottobre del 1940, quando per un banale errore l'alpinista perde la vita precipitando dalle pareti della paestra di roccia di Vallelunga, dove era solito recarsi per gli allenamenti. Si spegne così uno delle figure più rispettabili dalle dolomiti, ma anche dalle Alpi Occidentali e Guglie. Emilio Comici nasceva il 21 febbraio nella sua Trieste, in una terra fra le meno adatte per forgiare lo spirito del verticale. Successivamente si dedicherà alla speologia, ed è proprio nelle viscere della terra che l'uomo si farà alpinista, conoscitore profondo dell'anima della montagna. Questo insolito passaggio, sarà la chiave che porterà alla disciplina alpinistica, ovvero l'approcio sportivo con la dimensione verticale delle Alpi, ad una insolita rivoluzione. Oggi siamo abituati, possiam dire quasi annoiati, di sentir nominare quella parola: "Alpinismo", parola che facilmente viene fatta passare come atto estremo contro la natura, sfida eroica e inutile. Ma anche no! C'è chi ne rivaluta l'aspetto primordiale, l'incontro uomo-natura, il ricongiungimento, il distacco sociale. Quante se ne sono dette, quanto è stata strapazzata quella parola dall'aspetto tanto maestoso: Alpinismo. Nel bene e nel male. Ma cosa cela di tanto interessante, di tanto invitante, di tanto incomprensibile? Qual'è il suo segreto? Da queste domande è stato concepito, le risposte sono poi state date differenti a seconda degli interpiti, degli studiosi e degli alpinisti che ne han fatto la storia. Ma la storia ha finito con fare gli uomini, l'unico animale che per natura tende ad evolversi sistematicamente per sopraelevarsi al mondo. Anche alla montagna, al suo significato. Oggi conosciamo l'alpinismo, conosciamo gli uomini che hanno perfezionato se stessi sino a vincere le invincibili pareti dello Yosemite, che hanno saputo tirar su diritto anche dove tutti prima di loro avevano desistito, cambiando rotta. Oggi sappiamo di uomini che riescono a vincere la gravità con solo la punta delle unghie, a volte nemmeno con quella... chissà con cosa! Ogni tanto però finiamo con il gurdarci attorno, distaccare l'occhio assorto da quei grandi atleti che sembrano aver vinto ogni ostacolo, ogni intinerario, ci ritroviamo col ricordarci del pianeta, del suo territorio e della sua essenza, il suo mistero. Fu il mistero, che il 14 agosto 1933 aleggiava nel cuore di tutti coloro che avevano sentito di una nuova via aperta da Comici sulla Cima Grande del Lavaredo; come poteva un uomo aver potuto passare laddove nemmeno i grandi dell'epoca erano riusciti? E' un eroe, è un angelo, "l'angelo delle dolomiti". Nel mondo di oggi, l'eroismo ha assunto significati diversi, c'è chi dice più profondi. Con questo articolo, non si vuole eludere alla grandezza di Emilio Comici come alpinista tecnico, ma come filosofo. Dal suo libro postumo, uscito nel 1942 ed enfatizzato dalle autorità fasciste con il titolo "Alpinismo Eroico", ritroviamo solo un uomo amante della montagna, che si descrive attraverso essa in piccole recensioni, con semplici nozioni lessicali, con piccoli accenni tecnici. Insomma, come chi si sente piccolo al cospetto maestoso del monte, ma che con tale rispetto lo affronta, lo vive in tutta la sua grandezza. Con questo primo intervento, si vuole fruire al lettore una fonte per trarre dall'alpinismo la sua essenza primitiva, la sua vera filosofia ed il senso per cui si andava e si deve andare ancora oggi in montagna.
Buona lettura!!
Alpinismo Eroico di Emilio Comici ( a cura di Elena Marco) Vivaldi editori pubblicato il 1994 Codice EAN: 9788878081178
















2)Ora invece post prendiamo in considerazione un libro che narra le vicissitudini di una faccenda incresciosa sulla conquista d'un nobile cazzone calcareo delle dolomiti. Saverino Casera presentò molti interrogativi sulla sua conquista che Gogna e Zandonella Callagen ripercorrono fedeli... ma non diciamo altro, diciamo solo che quanto segue lo si trova nella sua forma originaria quì.

Processi alle verità Oblique

Noto con un certo piacere che i ritmi di aggiornamento da queste parti si susseguono a ritmi sostenuti. Sarà meglio darsi da fare; si rischia d'esser sopraffatti dalle recensioni cinematogragiche e dagli ottimi consigli musicali. Non vorrei mai! Mi accingo dunque ad argomentare ancora sulla montagna, nello scorsa pubblicazione rendevo conto ad uno dei più grandi alpinisti italiani. Troppo spesso si tende ad identificarla attraverso gli uomini che l'hanno affrontata e vinta, ma peggio ancora, ci si rammenta sempre più di loro e sempre meno degli spazi in cui hanno operato. E' un argomento complesso,rileva in qual modo la natura storta dell'uomo, il suo continuo prevalere. Ma questo discorso lo abbiamo già accennato, per noia non lo approfondirò ora. Mi preme invece menzionare l'ultimo libro pubblicato dalla coppia vincente Alessandro Gogna, Italo Zandonella Callagen nel 14 giugno del 2009. Forse per mea culpa, forse no, l'ho scoperto soltanto ora, ma vabè, bando alle ciance. il titolo ne racconta la trama: "La verità obliqua di Saverino Casara". Gogna, alpinista d'eccezione e ottimo giornalista, questa volta si concentra a dar un quadro preciso sulla dubbia ascesione dello scalatore veneto su una delle più belle guglie delle dolomiti friulane. Il Campanlie di Val Montanaia. Processi, contraddizioni, illustrazioni del percorso e chi più ne ha più ne metta, il libro ripercorre tutte le angherie del protagonista in seguito al suo "impossibile" superamento d' un tratto del passaggio chiave della via normale e principale, vinta poco prima dagli austriaci Wolf von Glanvell e Karl von Saar. Cosa aspettarsi da questo lungo racconto? Innanzitutto un reperto storico, condito da un' ottima stesura dei fatti, ben descritti, ripercorsi e ben studiati, vivacizzato da una lettura pimpante, firma del resto sempre ben nota dell'autore. Letto da un punto di vista meno fiscale, v'invito a riflettere, trovando interessante quanto la vicenda s'evolva in un lento ed inesorabile discorso dell'inutile. Infine abbiamo solamente una serie di nuovi dubbi sulle capacità atletiche dell'uomo, un sacco di persone che l'hanno calunniato, alcuni che l'hanno difeso, una montagna che non azzarda dar giudizio. Forse ride, però. La penna astuta degli autori, tuttavia, considera il ragionamento in un conclusivo discorso aperto con una simpatica battuta ( "Al lettore che ci ha seguito fin quì e non ha ancora esclamato: ghe ne go do maroni di sto Casara... chiediamo la pazienza di leggere queste ultime note conclusive" pag.280). Infine, per tutti gli amanti della strampalata narratività di Mauro Corona, tengo a segnalare il visionario intervento inserito sotto il titoletto de "Dialogo con il Campanile"(pag 303). Non mi resta che mostrare i dettagli finali, e natualmente augurare:
Buona lettura!!
La Verità Obliqua di Saverino Casara di Alessandro Gogna, Italo Zanolla Callagher Campo/Quattro Editori pubblicato il 14 giugno 2009 cod ISBN 978-88-8068-433-6
















3) E ancora; un discorso che riprende le tematiche dell'inizi dell'arrampicata sportiva e di uno dei suoi cultori, Reinhold Messner, come sempre quì trovate la fonte originaria.
 

La nuova frontiera

Eccoci arrivati, del resto era prevedibile. Mi scusino altre pertiche dell'alpinismo per averle bruscamente scavalcate, ma credetemi ho buoni motivi! Per chi non l'avesse ancora intuito, si parla di Reinhold Messner. Massì, inutile presentarlo. Il barbuto altoatesino è tutt'oggi il più celebre dei galeotti ad aver affrontato i più svariati monti della terra. Profondo conoscitore della filosofia e della sua vocazione, ha scritto alcune delle pagine più importanti dell'alpinismo: nella collezione spiccano ovviamente le insuperate imprese himalayane (fu il primo a conquistarne più di quattordici vette), la terribile tragedia vissuta durante la spedizione del Nanga Parbat, la stupefacente prima ascesa del monte Everest senza l'uso delle bombole d'ossigeno. Bene, breve ripasso effettuato.
Dal lato narrativo, Messner ci delizia con una serie prodigiosa di libri; incolla a se l'interesse dei molti, sia con la penna che come oratore di numerose interviste e conferenze.
Uno in particolare, però, rintengo sia la sua gemma. Reinhold Messner opera il suo mestiere in un punto cruciale della storia alpinistica. E' la fine d'un era, le Alpi sono state, diciamo, tutte vinte. Non c'è pendio, sentiero o parete che non abbia attirato a se l'attenzione dei temerari, l'alpinista si ritrova mendicante d'impresa, privo del motivo principale che lo sprona all'avventura. Siamo agli inizi degli anni '70 quando un nuovo spirito d'intesa dei valori sconvolge gli animi della gente, dei giovani. Il cruciale '68. Accade infatti, che anchel'alpinismo viene rivoluzionato da una nuova arrampicata, il free-climbing. Parliamo di quello che tutti oggi intendono "arrampicata libera", un nuovo modo di vivere il verticale, introdotto direttamente dai grandi scalatori americani che esercitano sul granito dello Yosemite. E' una tecnica affinata, arriva un nuovo tipo di materiale, che comporta un incremento incredibile delle possibilità di affrontare "l'impossibile". Quello che fino a ieri era insuperabile, oggi viene giocato sulla sicurezza dei chiodi ad espansione, ma anche sui piedi poggiati su "comodissime" staffe, quando la roccia si fa troppo scivolosa. E' questione di poco tempo che venga riconosciuto il settimo grado, la nuova frontiera che chude finalmente quello che troppi anni era stato la massima difficoltà raggiunta sulla scala Welzembach (classificazione delle difficoltà alpinistiche su roccia che va dal 1° grado "facile" in poi, idealizzata dal tedesco Willy Welzembach). le polemiche non mancano, Messner è ancora agli inizi di una grande carriera, molto giovane e protetto dalle sue Dolomiti, inizia un magnifico approcio che lo renderà un arrampicatore eccellente. Ispirato dai grandi del passato, quali Paul Preuss e Hermann Bhul, Messner sposa la nuova arrampicata sportiva, rammentandosi però delle antiche filosofie volte a non invadere la montagna con ogni diavoleria metallica che ne permetta il superamento. Il ripudio agli artefatti umani, viene ampliamente argomentizzato nello storico articolo pubbliato nel 1968 sulla Rivista Mensile del Cai, sotto lo spietato titolo:" L'assassinio dell'impossibile". La carriera da climber, tuttavia, doveva essere stroncata dalle amputazioni avvenute in seguito alle losche esperienze in Himalaya; ciò non lo fermò, tuttavia, dal prendere posizione definitiva su quella che doveva diventare il futuro dell'arrampicata libera. Nasce così il libro. Settimo Grado, è un resoconto personale, scrive l'autore: « le mie esperienze, così come man mano le ho trascritte, completate da articoli di giovani arrampicatori, danno vita a questo libro e cercano di trasmettere la gioia di vivere dell'arrampicatore estremo». Oggi, tutti coloro che vivono la montagna, sono favorevoli al settimo grado, così come all' VIII, al IX e ormai al decimo. Ma se tanto giustamente i numeri avanzano, è bene ricordarsi dell'essenza per cui oggi vivono. Questo libro ne tiene conto.
 Buona lettura!!  

Settimo Grado di Reinhold Messner De Agostini editori pubblicato il 1979

lunedì 26 dicembre 2011

Bassa quota!


Il Natale lo si collega spesso e volentieri alla montagna... sarà per la neve, o per quell'antipatico pagliaccio barbuto che vaga tutta la notte sfrecciando su un bob e distribuendo le più disperate vaccate all'orda di piccoli rospi, viziati ed ingrati, li nutrono poichè crescano ebeti e forti, per conquistare un giorno questo immondo pianet........... mi fermo.

Come s'è intuito questo periodo non m'aggrada, quindi non sperate di ricevere un'augurio, anzi, ecco il mio regalo... PRRRRRRRRRRRRRRRRRR!

Dopo aver messo le basi per una serena lettura, mi accingo a narrare la mia scorribanda festiva:
Il giorno di St. Stefano è voluto servire come ripicca verso le frustazioni degli ultimi giorni; obbiettivo NEVE. l'intenzione di trovarla c'è tutta;

Il viaggio:

Sveglia alle 4.10, la macchina è già caricata con sci e scarponi, zaino, pelli di foca, bastoncini teleferici.... si parte!

Immerso nella splendida desolazione umana che solo un primo mattino d'inverno può regalarti, sfreccio sulla Torino-Bardonecchia canticchiando gioioso "Il cantico del Drogati" dell'amico Faber.
Direzione Bardonecchia, anzi... siamo più precisi: Francia.
C'è chi dice esserci "fioca" sui versanti gallici...
giunto sul confine, sul Colle del Mon
ginevro, illumino furtivo i pendii con l'esile lume della mia lampada frontale dal lunotto dell'auto, sembro Diabolik nella speranza di venire abbagliato da un soffice velo biancastro, ma cosa scopro? La fioritura delle Primule dell'anno, che graziose. Monta l'ira. Poi mi cheto.

Non m'arrendo, torno in Italia, ispeziono i più lugubri versanti della Valle Argentera... in effetti fa più freddo, c'è molto ghiaccio ma non abbastanza neve per far tornare gli sci interi a casa. Mi scopro ad inveire più volte sul Bambin Gesù appena nato. Poi mi cheto.

Spinto dalla disperazione, decido di varcare ancora il colle del Sestriere, nella speranza che la Val Chisone, amica cara e solenne, abbia deciso di farmi un regalo. Il bello è che due giorni prima, ero già passato per una scorribanda, valutando quindi che non v'era neve nemmeno per tirare una palla in faccia a quell'anziano, che brioso tentava di issare l'ultimo fascio di luci sulla balconata. Quella stessa notte tirò anche un vento distruttore. Dunque che cazzo ci faccio la?? Bah.

Niente da fare, conscio che ormai la direzione intrapresa dall'auto riporta verso la pianura, entro nel più atroce sconforto. A consolarmi è "La spada nel cuore" sbraitata dispettoso da Battisti.

Torno a casa con le prime luci del giorno, tolgo la roba dall'auto, scollo malinico le pelli dal fondo degli sci. E' finita....... NO! Ad aspettarmi sarebbe un'altra giornata casalinga o un maledetto pomeriggio fra l'immonda società di questi giorni; c'è ancora tempo, sono solo le 7.30, intravedo in fondo all'armadio il sacco con le ciaspole... salverò il salvabile, senza perder altro tempo le isso allo zaino, inforco la Punto, parto... OK.

Sono le 8.10, sopra Forno di Coazze, all'inizio del sentiero che monta al Rifugio della Balma. Esco, chiudo, cammino... sono felice.

La gita:

Mentre scorrazzo sulle prime rampe penso al girovagare mattutino, il Natale è riuscito a tenermi in stallo anche sta volta, vediamo chi la spunterà alla fine.

Fa piuttosto caldo, ridicolo pensando che siamo ai primi di gennaio; sono appena oltre il bosco quando sosto per sgusciare da ogni tipo di indumento sudaticcio... mi ritrovo stupidamente in canottiera, massì.
La neve! La vedo, ce n'è poca, ma è più su... inizio le rampe che portano al rifugio. Guardo attorno e mi chiudo nelle consuete riflessioni e pensieri di marcia.

Salgo di quota, ormai sarò intorno ai 2.400, poco sotto il rifugio... è una cosa strana, capita ogni volta che raggiungo quel livello; la mente si alleggerisce, pressioni e preoccupazioni vengono meno, sono entrato nel magico mondo della montagna, dove tutto è chiaro, è normale, onesto... sono in pace.

Arrivo al rifugio, non c'è
nessuno, che gioia! Sosto a sorseggiare un thé caldo, addento una mela, riparto. Ecco la neve! Si affonda, metto le ciaspole.... devo impegnarmi affinchè servano davvero, devio sui punti risparmiati dalle margherite; una mi sfotte, la strappo.
Inizio a chiedermi dove caspita sto andando, alzo il naso e vedo il Roubinét... andiamogli incontro!

Poco più sù, quel che era comprensibile del sentiero sparisce, rimane solo un delicato manto nevoso, finalmente! Guardo i canaloni che minacciano slavine ai bordi delle punte. Che antipatici.

Sono poco sotto il pianoro che precede la salita del Colle del Roubinét, mi fermo. Avvolge l'insicurezza; le rampe del colle sono ripide e la fioca, anche se poca, non da l'aria di un buon assestamento. Non mi va di richiare una stupida caduta, cambio meta.

Lo sguardo cade sulla cresta che fa da spartiacque tra il vallone della Balma e quello del Pian Real.
Scarpino fino in cima, butto l'occhio sulla cresta che condurrebbe goffamente alle vette. La neve mi avverte ancora: "fermati Cane!!". Massì, basta salire... sono a spasso del resto.

Mangiucchio e scatto due pessime foto dal telefono (dedite solo a questo post).
Sorseggio ancora del thé, sono assorto dall'ambiente; che gioia... è davvero il mio Sistema; volgo uno sguardo infastidito verso la pianura, verso le case e le città... "guarda che foiba, fra poco dovrò tornarci, ahimè, lasciamo stare, penso ad altro... ooh ma che bel vento!!!"

Più in basso spunta una figura umana, si muove timidamente sulla neve. incuriosisce, scendo.
Il pendio svela q
ualche avventura; la neve è dura, salendo con le ciaspole non ci pensavo troppo, ora calzo solo gli scarponi... pianto i piedi con forza per far scalini, un po scivolo... meglio non cadere però, farei una bella slittata. Arrivo in fondo illeso.

Mi avvicino all'omino, è un signore sui 50', dice di aver seguito le mie tracce, sperava lo portassero sul Roubinét. Forse è meglio per entrambi. Lui si ferma a mangiare, saluto e proseguo verso il Rifugio.

La mia discesa è scossa dall'incontro con un branco di camosci; li seguo un po'; uno non fugge, sarà intrepido o malato? Sembra piuttosto molto pigro, il tepore del mite inverno e il gongolio della vita del parco volgono a loro favore. Provo a fotografarlo, un gesto sempre irrispettoso trovo, apriamo una parentesi sulla fauna alpina:


[CAMOSCIO: Il cavaliere dei monti, agile e splendido, vigila solenne dall'alto di qualche roccia, rare volte riesci ad avvicinarlo. Unico suo superiore in terra: sua maestà Stambecco. Prezioso e schivo, il camoscio incanta con fughe, corse acrobatiche assai azzardate sui terreni più disperati, robe da far impallidire un qualunque Valentino Rossi. Inutile sottometterlo; in sua presenza devi prostrarti umile e discreto, solo così riuscirai, forse un giorno, ad estrarre gli insegnamenti che meritano. A suo modo sa essere anche un grande amico: quando vi perdete in montagna provate a seguir lui o le sue orme... vi condurrà sempre sulla retta via.]


In prossimità del rifugio, a farsi voce non son più i fischi dei caproni ma gli schiamazzi umani. Sparisce un certo incanto, è tempo di andare.


Scendendo mi volto ancora al rifugio e alla sua cornice di vette; caspita ogni volta la stessa storia... vivere la montagna sempre in toccata e fuga è giusto, ti permette di degustarla in tutte le sue bellezze, ma al momento del distacco ti fa sentire ingrato ai suoi occhi!
Chiedo al quadro se vuole seguirmi, un fruscio s'alza nell'aria, forse è lui che mi manda al demonio. Saluto e proseguo.


Mi avvicino all'auto, tornano i pensieri e le preoccupazioni... mi fermano anche un gruppo di escursionisti, pieni in mano di carte e mappe dei sentieri, dire che basta seguire i segni rossi sulle pietre! Hanno un'aria sconvolta: " Quanto manca al rifugio??"


Rieccomi al parcheggio, con fare scorbutico faccio rotolare lo zaino nel bagagliaio, estraggo dal termos gli ultimi sorsi di Thé... ancora caldo.


S'avvicina un signore carico di figli, tutti vestiti freschi di negozio, vuole sapere se è possibile salire ancora con la macchina... non so, per i boschi forse:
«spiacente signore, ci sono dei limiti oltre i quali non le è concesso andare.» Badate, son stato gentile!


mercoledì 5 ottobre 2011

Sognando il Breithorn..........


E' risaputo che i grandi alpinisti per garantirsi le imprese non facciano mai voce di quale sarà la prossima prodezza. Che anime buie...

Dunque m'avvalgo del piacere di non essere un grande alpinista e non essere prossimo ad una grande prodezza, tanto più godere dei vantaggi dello scarso interesse che suscita una consueta e battuta salita, dal momento che il Breithorn, pomposa vetta alpina, accoglie sulle sue creste diverse centinaia di persone all'anno. Un quattromila di seconda categoria direbbe qualcuno... nulla mi scalfisce, perchè sarà il MIO PRIMO QUATTROMILA!!

La data è fittizzialmente fissata in primavera, tempo permettendo i primi di marzo. L'idea è di sbloccare quel sofferto ostacolo che fin'ora ha tenuto la mia carriera alpinistica lontana dal fantastico mondo dell'alta quota. Quale ostacolo? beh l'esperienza, l'allenamento, la costanza..... la fifa più porca.

Bando alle ciancie il momento è arrivato! Il battesimo verrà consacrato affrontando il bestione con i fedelissimi sci, percorrendo così i suoi magnifici pendii perlati, zompettando sbarazzino fra seracchi e godendo della brezza alpina che fra un'arco e l'altro dei tornanti permetterà giusto uno scompiglio del fulvo ciuffo, tanto per ricordar al veterano di non esuberare di calienza procurando anche uno scioglimento dei ghiacciai.....ho finito.

L'allenamento intensivo comincierà quantoprima con l'avvento delle prime nevi, la speranza è che la stagione riservi molte possibilità di uscite. Ad esaminare il tutto vorrebbe essere anche un bivacco invernale alla modesta quota 2300m (con condizioni climatiche eccelse, s'intende) ma qualcosa suggerisce caldamente di abbassare la cresta... vabbè.

Tutti questi pensieri mi inducono comunque ad un paio di ipotesi:

Ipotesi numero 1: considerati i tempi di salita intorno alle 2-3 ore da Pratorosà, con un allenamento discreto si potrebbe pensare di non usufruire della teleferica, sudandosi la vetta partendo dall'antipatica Cervinia.

Ipotesi numero 2: Non conoscendo la quota, anche prendendo il monte dal versante occidentale, l'adattamento potrebbe rivelare sorprese; tuttavia passare la notte al Plateù lo considero poco onorevole. Confidando nelle condizioni meteo l'idea è comunque di svolgere la gita in giornata.

Infine tendo a ricordare in quale posizione magnifica si trovi questa vetta; ponendosi da avamposto al termine della Valturnance volge tutto il suo capo allo spartiacque splendido del Cervino, dall'altro il massiccio del rosa e via dicendo l'intero arco alpino. Sia anche una "passeggiata"di quota, essendo la prima non la scambierei con nessun'altra sul pianeta!

venerdì 16 settembre 2011

Walter Bonatti


Questi ultimi giorni sono stati segnati da una terribile pugnalata, a volte non è necessario conoscere intimamente una persona affinchè la rabbia della sua scomparsa lo ferisca nel profondo.

Walter Bonatti è stato il più alto punto di riferimento per chiunque ami un certo alpinismo (classico, moderno e futuro) visto come una disciplina e vocazione di vita e non uno dei tanti e forse anche stupidi sport che conducono all'estremo. Era capace di tutto, di sopravviere dove gli altri si sono arresi, di incantare con le sue imprese, le sue filosofie, i suoi principi che hanno contribuito a mantenere con difficoltà questa pratica pulita e onesta come dovrebbe sempre essere affinchè quel rischiare fine a se stessi non perda di senso.

L'uomo immortale, il sire delle montagne alla fine è stato comunque abbattuto dal più vigliacco dei mali, diventa umano con una notizia letta sul Corriere e dopo tante avventure e rischi passati, com'è possibile mi chiedo... Lo sconforto per chiunque abbia riposto tanta passione nella montagna attraverso il suo mito, torno a dirlo, è altissimo.

A questo punto davvero mi auguro , che le prossime generazioni non dimentichino questi grandi personaggi, che a loro modo hanno segnato un'epoca, influenzato le prossime ed insegnato loro a vivere, soffrire per giusti ideali, rispettare e conoscere la stupenda natura, scoprirla continuamente e affrontarla nella sua seducente pericolosità, forgiarsi attraverso essa, adempiere ai propri scopi ma con rigorosa umiltà, tutti valori che per altro si cercano continuamente nella società e che sempre meno riemergono. Questo ci hanno lasciato i grandi alpinisti, le loro folli imprese e il loro stupendo scenario.

Era un'ultimo sentitissimo cordoglio; ma che vorrebbe essere ripetuto finchè, rialzando lo sguardo sui picchi ritorni l'immagine atletica di quell'eterno giovanotto che con la gioia negli occhi sminuiva tutti dicendo: " scalavo, e salivo sempre, senza fermarmi..."

Grazie Walter, da tutti!

mercoledì 14 settembre 2011

14/09/011 "L'ultima scalata".


Questa storia inizia anni or sono; un lontano 10 agosto del 1964.
Allora il massiccio del Bianco era contornato da paesaggi di bassa valle mozzafiato, le distese di ghiaccio scendevano dalle vette più imponenti d'europa sino a pochi metri dei prati della Val Veny e Val Ferret, le centinaia di persone che si staccavano dalle caotiche città per trovare armonia e gioia in quelle lande, coglievano ancora l'ostilità e poesia che avvolgevan quei luoghi, quei pennacchi neri, bianchi e grigi che parevano racchiudere tutto il potere del pianeta. Quel giorno però, alcune centinaia di persone, abitanti e soprattutto vacanzieri, si radunarono attorno a soli due uomini che sembravano riemergere da una sfida durata secoli, contro il mostro più grande e forte mai esistito. La bellezza di quelle immagini sono giunte sino ai nostri tempi, hanno incantato un'episodio forse non molto frequente nell'ambiente alpinisitico. Ma Bonatti era diverso, famigerato, non si poteva ignorare il ritorno da un'ennesima grande conquista, duramente sofferta, rischiosa non più di tante altre volte che la montagna o i compagni più invidiosi han tentato di fermarlo, ferirlo, abbatterlo.
Vero, si parla degli alpinisti dei tempi passati sempre in grande, elogiandoli in tutto. Ognuno ha il suo begnamino, Bonatti posso dire esser stato il mio. Le sue imprese, le sue disavventure e le prodezze nel salvarsi più e più volte, ma soprattutto l'aver ricercato sempre un alpinismo puro e onesto, mi hanno affascinato fin dalla più tenera età (nonostante il grande scoglio di estrapolare tali beltà da una narrativa logorroica e pesante, non lo nego) e soprattutto introdotto al fascino e al trasporto per l'alpinismo e la montagna.

Le sue abilità, la sua filosofia, lo hanno condotto l'oltremare, tra foreste nere e deserti, quando la decisione di abbandonare le grandi vette si è fatta concreta (a proposito). Una vita costante di avventure, rischi e conoscenze, han fatto di lui il mito che oggi tutti conosciamo, un mito immortale... sino ad oggi.
Nello sconforto che il triste ciclo della vita non è riuscito ad escluderlo, mi sovviene l'incontro documentato che ebbe con l'amico e compagno d'imprese Riccardo Cassin, assieme al non meno importantissimo e inconfondibile amico Rheinold Messner. L'ultimo trio, i tre vertici che hanno innalzato la grande piramide di questa curiosa pratica delle imprese alpinistiche; Walter chiese a Riccardo, quale fosse il segreto ad averlo spinto, nonostante i rischi ad una tale e gloriosa età. La risposta non poteva essere più brillante: "questioni di culo!"


E che dire ora? Rimangono le sue imprese, la sua storia, il suo mito... solite balle che servono a consolare chi ancora è vivo e ha creduto in lui, senza riuscirci però. Diciamo solo che alla morte non si scampa, la si può solo ritardare il più possibile: questioni di culo!

E' assai triste riaprire dopo tanto il blog per una simile occasione; ma questo Post come minimo glielo dovevo, il perchè non mi sembra caso ripeterlo.
Bon va, fuori un'altro... chi rimane?

mercoledì 1 giugno 2011

Free Solo

« Sperate sempre in ciò che aspettate, ma non aspettate mai ciò in cui sperate.
Credete solo in ciò che vi convince, ma lasciatevi convincere solo da ciò in cui credete.»
(Paul Preuss)

Il 3 ottobre 1913 muore precipitando dallo spigolo nord del Manlkogel, una montagna nella sua terra natale. Nessuno sa cosa sia successo esattamente perché, come tante altre volte, Paul era solo ed arrampicava slegato.

L'arrampicata, qualunque essa sia e dove sia, può essere descritta esclusivamente come la salita di un ostacolo.
Scalare in montagna significa lottare, su vie di roccia, di ghiaccio o misto, con mani, piedi e sistemi di assicurazione quali corde e moschettoni che permettono la sicurezza per la vita. E basta mi sembra. Diremo che l'uomo probabilmente ha affrontato le sue prime arrampicate senza l'ausilio di aiuti particolari, in seguito sono stati ideati attrezzi e tecniche per superare i limiti e le difficoltà più disperate. Oggi si chiama Arrampicata Sportiva una serie di discipline che portano lo scalatore ad affrontare una parete ed il suo grado di difficoltà (peraltro sempre in costante aumento) sempre più al limite delle possibiltà, precisando: possibilità umane!

Tutto questo ha come semplice fine vivere la montagna, combatterla e farlo in sicurezza, quando si decide di escludere mezzi artificiali per progredire "fisicamente" non esitiamo a chiamare questa disciplina: Arrampicata Libera. Oltre questo, tutto cambia.

FREE SOLO (libertà assoluta)

Ad introdurre la questione fu non a caso l'uomo strampalato conosciuto d' inizio pagina. La nuova filosofia non tarda a far scalpore, tanto più in un epoca dove i materiali per la progressione e l'attrezzatura erano alquanto discutibili. Tuttavia è incredibile pensare che le maggiori cime dei monti europei erano state già scalate (seguendo gli itinerari più facili, più logici) per cui l’alpinismo tendeva ad innovarsi, a diventare più "sportivo": si cercava la difficoltà, la via più ripida e più elegante per raggiungere la cima: non era più importante raggiungere la vetta ma diveniva importante anche come veniva raggiunta. Erano gli albori dell'arrampicata sportiva, e in contemporanea del free solo. Quest'ultima cambia totalmente la visione dell'alpinismo ed influenzerà moltissimo quello classico-moderno. Ma perchè fare questo?
L'unica spiegazione è cercar di comprendere la pazzia, se di pazzia si tratta, sperar che non sian solo spinti da una forma di competizione o dal vil denaro (soprattutto nei tempi attuali), nemmeno dalla sola esuberante e straordinaria abilità. E' un diverso contesto, non si ammette lo sbaglio che può diventar fatale, evitandolo solo con uno straordinario grado di concentrazione e fusione con il sistema in cui si opera, far fronte non solo alla propria capacità fisica, ne quella mentale, ma trarre energie da tutto il creato..... Oh sì! Chiunque abbia anche per una volta osato in questa pratica, non può che darmi ragione. Non è rilevante il grado di difficoltà. Il free solo pare essere il modo più onesto e nobile per affrontare la montagna; si è da soli e la solitudine in situazioni estreme, matura sensazioni che spiegare diventa quasi romanzesco, quando la paura di morire viene superata dalla gioia del momento vissuto, allora, e solo allora ci si sente in pace con se stessi, onesti con sua maestà "grande monte".
Ma tutto questo è momentaneo, l'errore incombe continuamente anche sul più scaltro, la possibilità di sostituire il free solo all'arrampicata classica, ammettiamolo, è impossibile. Questo ha insegnato Preuss, la sua scelta di vita e la sua morte.

Ritengo che il Free solo sia giustificato solo da una straordinaria espressività, rivolto a se stessi e ai fortunati spettatori. Sforzandomi a pensar razionalmente, affrontare i pericoli della montagna con giudizio e assicurazione è sempre la scelta più saggia, il rispetto per la propria vita non implica non rispettare la montagna, tuttavia, ahimé il fascino dell'assenza della corda mi è impossibile affievolirlo.

Concludiamo: non si pensi a questa pratica come una follia ingiustificata, per quanto discutibile, rimane per me e per chiunque veneri la parola "libertà" nel vero senso del termine, il modo più completo, coraggioso e fatato di vivere la vita e dunque di onorarla. Per chi avesse ancora dei dubbi, invito a darmi torto a fine pagina.




Dopo aver visto questa....

giovedì 23 dicembre 2010

Patriottismo inverso

Non so chi di voi ha mai fatto caso all'Italia. Quante differenze, da regione a regione ma anche da paese a paese, da casa a casa. Un tesserino azzurro mi rivela italiano, ma questa vera nazione non l'ho mai vista, alla fin fine credo che non molte siano le differenze da duecent'anni a questa parte, da quando i nostri coraggiosi Garibaldi, Mazzini e Cavour ci hanno faticosamente uniti in questa bizzarro stivale tortuoso. Non esiste una forma omogenea nazionale, saremo sempre il paese delle mille sfumature.
Non parliamo poi di culture e tradizioni, che bagaglio ragazzi, quante meraviglie ma anche quante lacune. Ma parliamo di montagna forza, da quanto le terre dell'arco alpino occidentale hanno smesso di essere depravate della meraviglia con cittadine orribili??
Ora s'inizia a sciare (se l'iddio decide di mandar giù un po di neve), posti come Sestriere, Cervinia, Des Alpes e Monginevro sono tappe doverose allo scopo. Dimentichiamoci del gioco, ricordiamoci del posto, credo vi balzi in mente come si presentano i "campi base degli impianti, no? Non rammento località sciistica dall'architettura cementata, qualcuno dice essere alberghi o chissà che.... sicuramente porcate, ammettiamolo su. Ecco la nostra montagna cosa diventa, una buffonata a stile libero.
Fortunatamente non è sempre così, non proprio ovunque, ci son lande ove l'intelligenza ha mantenuto un paesaggio inviolato, dove la natura non è stata schiacciata dagli insediamenti turistici, dove la discrezione ha dimostrato che forse non sono i soldi a rendere l'uomo necessariamente ignorante a tutto ciò che apparentemente non lo riguardi.
Qualcuno forse avrà inteso un riferimento agli altoatesini, un grande esempio davvero, una regione che geograficamente appartiene all'Italia da ormai diversi anni ma, in tutto e per tutto caratterizzatada mentalità poco stivalesche e molto Österreich.
Questo morboso discorso volge ad una critica precisa, l'incapacità caratterizza gran parte dei comuni italiani a non saper valutare e proteggere il proprio territorio è un dramma. Andiamo ora in Piemonte, il mio Piemonte. Paesaggisticamente forse, la più bella regione: sempre diversa, mai piatta, ovunque ci si inebria dal dolce frastuono di fiumi e affluenti del vanitoso Po che ancora sgorga pomposo dalle viscere di una delle più splendide e regali punte dell'arco prealpino, il Monviso, e che poi traversa spensierato Torino, la prima capitale, città romantica e circondata da un paesaggio montuoso unico al mondo.
Non parliamo poi di Storia che diamine, non c'è fonte o libro che vada a mentire su momenti di rilievo incredibili come appunto l'era risorgimentale, i passaggi dei franchi con Carlo Magno, di Annibale, i segni di civiltà romana, ma andiamo ancora indietro e troveremo degli insediamenti delle popolazione celtiche e così via. Ovunque si trova tradizioni e valori di grande importanza.
Un mare di averi che, fatta qualche rara eccezione (le gratificanti rivalutazioni delle langhe e monferrato) son dominati da entità locali sempre più babbee, persistenti a far conoscere alle scolaresche le viscere della FIAT piuttosto che la Sagra di San Michele. Ma fosse questo il problema. Cittadine della fama di Susa ridotte in gran parte ad un cumulo di palazzine grigie e nere che portano il malcapitato a temere l'incontro con un malavitoso del Bronks, altro che purezza montana.
Eppure, già da quelle cittadine, basta alzarsi un poco di quota sulle strade e comodamente seduti sulla poltrona dell'automobile, traversare splendidi colli ed altopiani, raggiungere finalmente la confinante Francia e trovare l'agognato paesaggio ideale. Dico paesaggio e nient'altro, perchè parte rara eccezione quelle lande non hanno bagagli storici e culturali pari al nostro, ma poco conta, poichè quel "poco" (se così vogliamo chiamarlo), basta e avanza a chi vanta l'intelligenza nel dar al luogo il giusto resoconto.
Chi non conosce chissà cosa va pensando, quali formidabili prodezze di marchio francese vado mezionare? Pulizia, ordine, rispetto, educazione alla comprensione del territorio. Basta.
Son concetti molto semplici, che però a distanza di pochi chilometri sembrano fantascentifici. Tale diversità si riconosce non solo a prima vista, dalle persone che incroci per le strade, nei rari locali e soprattutto quelle che s'incontrano in montagna. Perchè fateci caso, ad esempio, quanti giovani italiani si danno oggi all'alpinismo, o più semplicemente scarpinano, campeggiano su terreni di quel tipo? Vi rispondo, molto pochi, non v'è che scarso interesse, meglio una spiaggia affollata o quanto esiste di peggio, una chiassosa discoteca. In Francia se ne vedono parecchi, sempre allegri, azzarderei dire anche appassionati, quasi sempre educati e mai sboccati, gliele riconosco tutte accidenti.
Rammento con piacere quella volta che tornando da una lunga sfacchinata fra punte e creste delle "marittime" che fan da confine la Valle di Stura con quella dell'Ubaye, incontrai al bordo del sentiero su un grosso prato, un vero e proprio concertino di strada (meglio di monte) allestito alla bene in meglio da alcuni giovani musicisti, appunto francesi. Che grande gioia davvero, ad un italiano non credo sarebbe mai balzato in mente... ma forse pecco di prevenzione.
Ora magari alcuni andranno pensando io sia una sorta di patriota inverso, un paladino napoleonico, qualcuno vorrà legnarmi sulla zucca dicendo "non ti va bene quì? Vai in Francia allora, levati per bene dai coglioni!"
In realtà molti sono i difetti che riconosco ai nostri cugini gallici, spesso e volentieri riscontro in loro alcune rare e irrefrenabili antipatie. Nulla si può dire però sui loro pregi, appunto uno (e forse unico) quello di saper valutare il territorio, amarlo e rispettarlo. NOI NO.
Fra i "padroni" delle Alpi, la popolazione sicuramente più indegna è quella italiana, in particolare i piemontesi. Vorrei tanto essere disdetto un giorno.

In conclusione, stando quantomeno in argomento terrei dare alcune segnalazioni sulla letteratura alpinistica. Menziono quella che ritengo impropriamente la "saga franca", dei tre autori che han dimostrato essere la "crem de la crem" di quegli anni. Uno è il già ampliamente emancipato "les conquistadors de l'inutiles" di Lionel Terray. Il secondo un alpinista di cui ben poco ci si ricorda ma che tanto ha dato a questa disciplina; parlo di René Desmeison con i suoi due rispettivi "Montagne à mains nues" (La montagna a mani nude) e "342 ore su le Grand Jorasses" (non oso menzionare correttamente il titolo originale), Il primo raccolta di scalate epocali, il secondo una singola recensione della drammatica disavventura su una delle montagne più bramate e sofferte di sempre. Infine non poteva mancare il grande Gaston Rebuffàt, con il suo postumo "La montagne est mon monde", una splendida raccolta biografica, testi e recensioni alpinistiche, narrate passionatamente in prima persona e raccolte dalla sua compagna e moglie Françoise Rebuffat.
Mi permetto inoltre segnalare un film-documentario che ho avuto la fortuna di recapitare, firmato sempre Gaston Rebuffat, "Etoiles et Tempêtes" è il primo di quattro film inerenti e vicintore della 4a Edizione Trentino Filmfestival.

Finisco davvero ora, lasciandovi però un assaggio del film che conto risvegli anche ai più abietti ricordi di altri tempi e magari un sapore umile e antico.

Buone riflessioni, buone letture & buona visione!!