sabato 20 novembre 2010

Il giardino di cristallo


Come ogni aspirante alpinista, anch'io tendo a considerare la montagna un immenso parco giochi, dove migliaia di possibilità concedano all'uomo di approciarsi nelle maniere più distinte ai ghiacci, rocce e percorsi vari. Se uno va soffermarsi su quante siano le discipline che si possono adottare per dar sfogo alla propria baldanza di conquista, ne riconosciamo davvero tante. Ognuno ha il sacrosanto diritto di sperimentare e vivere la montagna come meglio crede, purchè questo sia in rigore al rispetto del luogo, ovviamente.
Sebbene questo discorso vada a ramificarsi, mi concentrerò su quello più classico. L'arrampicata.
Per ovvi motivi considerata il top delle discipline in montagna, racchiude tutte le virtù necessarie all'ascesa più nobile. L'arrampicata negli anni si è adattata ad ogni superfici: dalla classica parete di roccia, al masso umido e lichenoso, al ghiaccio, per poi passare a quegli artificiali: dunque palestre di cemento e resina, addirittura palazzi e statue.
Arrivati quì, forse iniziamo ad esagerare.

Ma senza spingerci dove la follia umana giunge a gemere al ridicolo, fermiamoci al casello "ghiaccio". E' dunque quì a mio giudizio, s'inizia a strvolgere la ragione. Non parlo dei bianchi pendii verticali o delle terrificanti vie di misto che si ammirano tetramente sul versante nord delle Grandes Jorasse, quelle le osservo ancora con una solenne (e forse impossibile) attrazione di sfida. Arrivo al punto, scusatemi.
Quando l'inverno si fa particolarmente rigido, nella penombra delle gelide prime luci è possibile scorgere alcuni piccoli uomini armati di picozze, robuste corde e tutta l'attrezzatura che serve ad affrontare il sugestivo intinerario della cascata di ghiaccio. Un Dì, perso dalla curiosità di scoprire quali doti siano necessari per diventare alpinista di professione, ho scoperto che non v'è inteso alcuno che non abbia come bagaglio atletico una scalata di quel tipo.
Paliamo di persone che raggiungono le pendici di enormi bianchi blocchi di cristallo negli orari in cui temperature permettono una discreta sicurezza, con lenti ma saldi movimenti iniziano a risalirle scalpellando ramponi e picozze. I chiodi fungono da salvavita ancorati al fragile ghiaccio, pronti a tenere una caduta decisamente rischiosa.
Ora, me ne scusino gli appassionati, ritengo questa disciplina totalmente incomprensibile, una forzatura gratuita e mirata unicamente a sfruttare la natura nei suoi contorni più disperati. Il mio sdegno può essere visto sotto innumerevoli punti. Iniziamo da quello atletico: quì la progressione viene eseguita affidandosi totalmente ad un'attrezzatura artificiale, mai e lo sottolineo, mai, allo scalatore è permesso abbandonarsi al piacere di mollare la presa delle picozze per sentire il ghiaccio sui polpastrelli, non usufruire correttamente di un rampone ben ancorato, una caduta potrebbe rivelarsi seriamente pericolosa. In ultimis, il traguardo è inteso come la "fine dell'intinerario", concetto che si avvicina fortemente al free climbing e alle sue falesie di roccia. La differenza ritengo stia nel fatto che proggredire sulla roccia forgi una determinata capacità tecnica e atletica, destinata magari ad affrontare percorsi di montagna impegnativi. Sulla cascata le capacità tecniche si fermano alla cascata, concedendo ben poco spiraglio ad un arricchimento atletico richiesto da certe difficoltà alpine.
Concedendoci al quadro morale trovo un disaccordo ancora maggiore. Non riesco a vedere arrampicate di questo tipo degne di un appellativo alpinistico. Riconosco solo il brivido dell'estremo, abili carpetineri in preda ad una sfida disperata verso l'ambiente schivo, bellissimo sì, ma forzato ad essere solo una passerella finalizzata a se stessi. Trovo inoltre offensivo non ritenere degno alpinista colui che si sottrae a questa disciplina, come se la logica della montagna venisse meno del carattere puramente temerario.
Giudizi di questo tipo andrebbero ritenuti più considerevoli da chi vanti aver avuto almeno un approcio di questo tipo. Non sono io, semplicemente anche solo per timore, ho sempre tenuto ben lontano il desiderio di provare quel tipo di ebrezza. Al fine di farmi perdonare la saccenza, giutificherò col ribadire il concetto che motiva la mia passione verso l'alpinismo.
A rigore di ogni atto o gesto destinato in montagna, bisogna sempre rammentrsi delle logiche mirate a non evadere dal contesto atletico in un ambiente estremamente affascinante, ma pericoloso. Mantenersi discreti in montagna è comunque il metodo più saggio per amarla e rispettarla, sentimenti che dubito qualunque alpinista intenda sottrarsi.

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