martedì 14 dicembre 2010

Ma cosa te ne importa?


Fondamentalmente a governare lo spirito d'avventura è sempre l'inadattamento. E' quello che porta un essere umano, che fra le altre specie si differenzia per aver instaurato una sorta di società e di civiltà che lo distacca sempre più dal sistema naturale che lo adotta, a volersi riapprociare tornando bestia, ma forse semplicemente tornare a vievre con l'umiltà che dona nella sua complessità la semplicità stessa della natura.
Il problema principale dell'alpinista, del montanaro idealista, è quello di perdersi conintuamente in discorsi esistenziali e filosofici, discorsi che vanno spesso a perdersi o che si concludono alla stessa maniera: " la montagna è bella, punto".
Ma queste parole hanno sempre un desiderio ossessivo di far tornare nelle persone il dovere interiore di proteggere la montagna. La montagna è un luogo unico, per secoli rimasto inaccessibile a certe altitudini, mistico e leggendario. Evoluzioni e tecnologie hanno voluto poi che alcuni uomini s'interessassero a volerle ispezionare, cercare di conoscere quelle arroganti vette e non più solo temerle. Nacque così l'Alpinismo, naque dal solo desiderio di "conoscere", la vera ossessione eterna dell'uomo.
In montagna l'uomo torna animale, si ricongiunge con il fisico e con il corpo al sistema naturale ed è costretto ad adattarsi di conseguenza. In montagna ci si isola, si fugge da un sistema complesso e invivibile qual'è la società, si vuole star da soli con il proprio essere. E' dunque questo il paradiso, è quì che le sofferenze morali svaniscono? No. Ad accompagnarti è sempre la malinconia, il triste dovere di tornare con gli altri, con la gente. Maledetto pianeta, maledetti sian gli uomini che lo popolano. Ma allora perchè voler portarci persone? Perchè fare conosere loro un mondo che, più o meno, ancora non hanno soppresso?
La domanda che vien fatta più spesso a chi s'infuria verso chi distorge la motivazione e lo spirito dell'alpinismo è: ma cosa te ne importa?
Eh no, mi importa eccome. Importa voler far conoscere alla gente un mondo che non è quello che si pensa, non è solo la valanga che innonda lo sventurato incoscente, non è la friabile roccia che assurdamente qualcuno vuol ostinatamente aggrapparsi, non è quel sistema terribile che credevano gli avi di Neandhertal, vi assicuro, non esistono spiriti maligni che dalle vette vogliono sterminare chi le sogna dal basso. Diversamente, la montagna è un'amica sincera, sta poi a chi vuol conoscerla avere la coscienza di valutarne i pericoli, lei non ve li nasconde, credetemi, quelle piccole nuvolette paffute che a poco a poco si uniranno formandone un temporale, è sicuro.
Chi ama la montagna, chi la conosce sente il dovere di farla conosere agli altri, non ci son segreti. Questo significa imparare e rispettare, conoscere le leggi, colui che per accorciare la discesa taglierà con gli sci un fresco pendio di neve verrà punito, giustamente. Sembrano avvisaglie stupide, ma quante ne sentiamo ogni giorno? Gente che scompare, che precipita nei crepacci più insidiosi e chi si ritrova assurdamente colpito da un fulmine su una vetta himalayana alle due del pomeriggio. Parliamo quasi mai di dilettanti allo sbaraglio, spesso guide rinomate che, per qualche soldo in più, pretendono di sottomettere il sistema ai propri bisogni e lo sotovalutano. Tutto questo viene poi usato come pretesto per dipingere l'alpinismo come disciplina stupida e assurda. Siamo tutti dei pazzi noi alpinisti. Ma tanto, cosa me ne importa? Niente.
Un domani alzeremo lo sguardo verso un versante e vedremo un'altro impianto sciistico, un'altra seggiovia, un nuovo skilift. Un altro spiraglio di selvaggio è stato sottratto, è divenuto proprietà privata perchè ritenuto valicabile con gli sci solo se spianato dalle frese, un'altro frangente che andrà a riempire le tasche di qualche imprenditore. Alla faccia della montanga e dei fessi che ci crepano.

Sia chiaro, nessuno è nato ambientalista, tantomeno chi ama la montagna, credo. Quando però si ha un contatto tanto intimo con il sistema si acquisiscono coscienze che prima nemeno ci si immaginava, si capisce per davvero che la civiltà volge inesorabilmente a rendersi artefice del proprio disastro. Sembra esserci tanta stupidità.
Oggi la società dispone di mezzi e tecnologie, ma soprattutto di cultura necessaria per capire. Mettendo a frutto tutto questo è sì possibile salvarsi, è possibile riuscere a vivere in perfetta armonia con la montagna. Non c'è più il bisogno di fuggire dal selvaggio, non è più tanto inadattabile. Oggi c'è il dovere di ritornarci, non di sopravvivere ma vivere, questo con le tecnologie giuste è possibile.
E' un passo che a molti sembra inattuabile, fantascentifico, folle, ottuso. Io dico che è solo questione di abbattere un muro, un muro d'un cemento armato di quadruplo spessore, anche un muro che gente potente e dagli interessi spietati contribuiscono ad irrobustire.
Tutto questo un giorno, forse, però, verrà capito, combattuto, sconfitto, è solo questione di evolversi quel poco che serve.
Badiamo bene però, i tempi stringono, il pianeta è ancora vivo ma stanco, malato, quasi morto.

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