sabato 27 novembre 2010

Il prezzo della conquista

Sfortunatamente son stato costretto a trascurare il blog per un po', brutto segno, soprattutto ora che siamo agli inizi. D'altro canto ritengo sciocco prendersi impegni forzati di pubblicare sempre qualcosa al solo fine di dare tono alla pagina, trattare di montagna non necessita di "bla bla" al vento. Meglio poco e sostanzioso, se si riesce.
A beffarmi ulteriormente, in sti tempi è stata la scarsa possibilità di dedicarsi alla montagna . Si avvicina l'inverno, la candida mezza stagione si prepara a rangrinzirsi tramutando l'ambiente alpino ad una dimensione inacessibile e selvaggia. Tanto imponente quanto affascinante. l'appassionato si ritrova un poco spaesato, la palestra muta le condizioni di accesso, si accantona la sacchetta di magnesite e si spolverano picozze e ramponi, s'ambisce di poter indossare gli scarponi da sci quanto prima, frenato ancora dalle instabilità climatiche e della neve.
Fortunatamente, questa sorta di stallo è compensata in parte dalla lettura casalinga. Come già accennato precedentemente il libro di montagna è una fonte inesauribile di emozioni che gli autori riescono a trasmettere con sensazionale semplicità. O forse no, però amo pensarla così.
A farmi compagnia in queste sere è stato uno di quelli considerati "classici". Ci sono arrivato piuttosto tardi, forse mai se non fosse stato tanto menzionato da altri alpinisti scrittori come una sorta di bibbia sulla filosofia alpinistica. Scusate se ancora non l'ho nominato: parlo de "I conquistatori dell'inutile" di Lionel Terray. Splendido, ma non per come lo aspettavo.
Molto più d'un classico libro di montagna, un'autobiografia del noto alpinista francese, si pone al lettore con tutte le caratteristiche che formano un romanzo. L'autore sa bene cosa dire, narra di sé attraverso il momento più storico dell'alpinismo, menziona attentamente accenni dell'infanzia, la difficile permanenza nell'esercito durante la guerra, le terribili situazione che avvolgevana i mondo in quegli anni, il costante richiamo sfrenato della natura ai suoi uomini più irrequieti. Si autoproclama fautore ed amante delle montagne, guida alpina di valore e compagno di pertiche del periodo quali: Gaston Rebuffat, Luois Lachenal, Jean Couzy.
A cavallo delle formidabili imprese, le sue riflessioni diventano anche pompose e spaccone, ma comunque sempre ridimensionate dal titolo scanzonatorio.
A mio avviso Terray non è un filosofo della montagna (come invece mi facevan credere), piuttosto uno splendido comunicatore. Dalla sua penna non fuoriesce che la verità vissuta in quei momenti, forse meno profonda di altri, ma assai riconoscibile a chi almeno una volta si è trovato praticare alpinismo. Pagina dopo pagina riflettevo su cosa per me significhi veramente l'alpinismo, forse ancora non ne son certo.
Vorrei menzionare appunto un curioso sogno che ho avuto al termine di un racconto (spesso e volentieri amo leggere prima di dormire, intimo momento della giornata e dove in seguito si rielaborano i contenuti).
Sicuramente legato al capitolo appena trattato, l'autore narrava infatti di una terribile disavventura vissuta durante la discesa dalla vetta dell'Annapurna. Assieme ai compagni venne sommerso da una valanga e intrappolato in una buca nella neve. Ad aggravare la situazione s'aggiungono le difficili condizioni del compagno e amico Lachenal, congelato ai piedi e allucinato dalla fatica e dall'alta quota.
Nel sogno mi ritrovavo in una situazione simile, isolato e con un compagno ferito fra dei pendii himalayani, spaesato nella nebbia e acciecato dalle interperie. Invece di mostrare interesse per le condizioni dell'amico, disperavo quanto più verso uno sfreggiamento al viso (causato probabilmente dal freddo) che mi aveva deturpato le sembianze. Tutto ciò scaturiva fortissime angoscie interiori, non sapendo se abbandonare il compagno al triste destino cercando di raggiungere il campo base più in fretta possibile, salvandomi forse così da una mutilazione eterna. Come tutti i sogni poi, è terminato prima che potesse darmi una conclusione rivelatoria. Ma quanto vissuto è bastato per ragionare su come davvero potrei comportarmi in una situazione tale, forse con l'altruismo commovente del buon Terray, che concesse i suoi scarponi all'amico al fine di salvarlo dall'ipotermia, oppure pensare egoisticamente, salvando poi quella parte superficiale che meno conta in montagna ma tanto serve nel mondo degli uomini. La faccia.
Eh vabè, spero di non scoprirlo mai (soprattutto di non essermi giocato futuri compagni di cordata con queste rivelazioni preoccupanti).
Tornando al libro, quello che poi ci interessa, terminerei con menzionare una parte, una frase che mi aggiudicherà definitivamente la fama di farabutto rompicazzo. L'ultima conclusiva, lascia nel lettore una lacrima di commozione, quasi a farlo apposta, par coscente del legame maligno con la morte che toccherà l'alpinista qualche anno dopo, poco distante dal luogo in cui quel giorno terminò il suo splendido libro:

« Se veramente nessuna pietra, nessun seracco, nessun crepaccio sta attendendomi da qualche parte del mondo per fermare la mia corsa, verrà il giorno in cui, vecchio e stanco, saprò trovare la pace tra gli animali ed i fiori. Il cerchio si chiuderà ed io diventerò il semplice pastore che sognavo di diventare da bambino.
Grenoble, luglio 1961 »

sabato 20 novembre 2010

Il giardino di cristallo


Come ogni aspirante alpinista, anch'io tendo a considerare la montagna un immenso parco giochi, dove migliaia di possibilità concedano all'uomo di approciarsi nelle maniere più distinte ai ghiacci, rocce e percorsi vari. Se uno va soffermarsi su quante siano le discipline che si possono adottare per dar sfogo alla propria baldanza di conquista, ne riconosciamo davvero tante. Ognuno ha il sacrosanto diritto di sperimentare e vivere la montagna come meglio crede, purchè questo sia in rigore al rispetto del luogo, ovviamente.
Sebbene questo discorso vada a ramificarsi, mi concentrerò su quello più classico. L'arrampicata.
Per ovvi motivi considerata il top delle discipline in montagna, racchiude tutte le virtù necessarie all'ascesa più nobile. L'arrampicata negli anni si è adattata ad ogni superfici: dalla classica parete di roccia, al masso umido e lichenoso, al ghiaccio, per poi passare a quegli artificiali: dunque palestre di cemento e resina, addirittura palazzi e statue.
Arrivati quì, forse iniziamo ad esagerare.

Ma senza spingerci dove la follia umana giunge a gemere al ridicolo, fermiamoci al casello "ghiaccio". E' dunque quì a mio giudizio, s'inizia a strvolgere la ragione. Non parlo dei bianchi pendii verticali o delle terrificanti vie di misto che si ammirano tetramente sul versante nord delle Grandes Jorasse, quelle le osservo ancora con una solenne (e forse impossibile) attrazione di sfida. Arrivo al punto, scusatemi.
Quando l'inverno si fa particolarmente rigido, nella penombra delle gelide prime luci è possibile scorgere alcuni piccoli uomini armati di picozze, robuste corde e tutta l'attrezzatura che serve ad affrontare il sugestivo intinerario della cascata di ghiaccio. Un Dì, perso dalla curiosità di scoprire quali doti siano necessari per diventare alpinista di professione, ho scoperto che non v'è inteso alcuno che non abbia come bagaglio atletico una scalata di quel tipo.
Paliamo di persone che raggiungono le pendici di enormi bianchi blocchi di cristallo negli orari in cui temperature permettono una discreta sicurezza, con lenti ma saldi movimenti iniziano a risalirle scalpellando ramponi e picozze. I chiodi fungono da salvavita ancorati al fragile ghiaccio, pronti a tenere una caduta decisamente rischiosa.
Ora, me ne scusino gli appassionati, ritengo questa disciplina totalmente incomprensibile, una forzatura gratuita e mirata unicamente a sfruttare la natura nei suoi contorni più disperati. Il mio sdegno può essere visto sotto innumerevoli punti. Iniziamo da quello atletico: quì la progressione viene eseguita affidandosi totalmente ad un'attrezzatura artificiale, mai e lo sottolineo, mai, allo scalatore è permesso abbandonarsi al piacere di mollare la presa delle picozze per sentire il ghiaccio sui polpastrelli, non usufruire correttamente di un rampone ben ancorato, una caduta potrebbe rivelarsi seriamente pericolosa. In ultimis, il traguardo è inteso come la "fine dell'intinerario", concetto che si avvicina fortemente al free climbing e alle sue falesie di roccia. La differenza ritengo stia nel fatto che proggredire sulla roccia forgi una determinata capacità tecnica e atletica, destinata magari ad affrontare percorsi di montagna impegnativi. Sulla cascata le capacità tecniche si fermano alla cascata, concedendo ben poco spiraglio ad un arricchimento atletico richiesto da certe difficoltà alpine.
Concedendoci al quadro morale trovo un disaccordo ancora maggiore. Non riesco a vedere arrampicate di questo tipo degne di un appellativo alpinistico. Riconosco solo il brivido dell'estremo, abili carpetineri in preda ad una sfida disperata verso l'ambiente schivo, bellissimo sì, ma forzato ad essere solo una passerella finalizzata a se stessi. Trovo inoltre offensivo non ritenere degno alpinista colui che si sottrae a questa disciplina, come se la logica della montagna venisse meno del carattere puramente temerario.
Giudizi di questo tipo andrebbero ritenuti più considerevoli da chi vanti aver avuto almeno un approcio di questo tipo. Non sono io, semplicemente anche solo per timore, ho sempre tenuto ben lontano il desiderio di provare quel tipo di ebrezza. Al fine di farmi perdonare la saccenza, giutificherò col ribadire il concetto che motiva la mia passione verso l'alpinismo.
A rigore di ogni atto o gesto destinato in montagna, bisogna sempre rammentrsi delle logiche mirate a non evadere dal contesto atletico in un ambiente estremamente affascinante, ma pericoloso. Mantenersi discreti in montagna è comunque il metodo più saggio per amarla e rispettarla, sentimenti che dubito qualunque alpinista intenda sottrarsi.

giovedì 18 novembre 2010

Leggere rende alpinisti

Non c'è sofferenza maggiore per chi ama gli spazi aperti trovarsi costretto a restare in quelli chiusi. Questo può esser comportato da tanti fattori, elencarli ritengo sia superfluo.
Se poi questi tempi sono anche preda di noiose staticità casalinghe, allora la situazione si complica! Lo sventurato inizia dei disperati tentativi di svago che lo portino a compensare il desiderio di fuggire. Dico male? Beh, per me è così.
Tuttavia può esistere una soluzione. Come tutte le discipline avventurose, l'alpinismo è fra quelle che maggiormente si concede al racconto, per questo più che mai un buon libro gli rende omaggio. Leggete di montagna. La Tv non funziona, Film e documentari difficilmente si addicono, manca qualcosa, una delle caratteristiche più forti di questa disciplina, l'intimità. E' forse anche questo che spinge i grandi protagonisti ad esserne schivi, poco vediamo un Messner o un Bonatti in una trasmissione televisiva, giammai poi un Gogna, un Cassin (lasciatoci da non molto). Tutti loro scelgono un altro mezzo, quello che permette di trasmettere al meglio riflessioni, narrare grandi imprese, quello del libro. Il libro funziona, il libro è intimo, è un amico fedele. Sui libri si impara a vivere, in tv ad apparire. Bon, credo di averle dette tutte.
Gli autori certo non mancano, non vi è alpinista degno del nome che non abbia impugnato la penna anche solo una volta. Alcuni poi, si ricordano come vere pietre miliari.
il discorso può essere inteso banalmente, invece va a cercare un significato preciso. Oggi in montagna si va per sport e poco più, il compromesso istituito sin dagli agli inizi fra uomo e natura è stato abbattuto dalla ricerca sfrenata della forma atletica. Quello e basta.
Il libro porta invece a far riaffiorare le motivazioni, i pensieri di vecchi pionieri che ancora traevano dalla scalata una motivazione spirituale, lasciando poi alla fantasia del lettore rielaborare le vicende e spettacolarità delle ascese. Educazione, ritengo sia la forza maggiore del libro di montagna.
Detto ciò, ci si prenderà la briga di pubblicare futuri articoli sulla narratività alpinistica, affinchè premesse non generino premesse, che caspita! Anzi, a tal timore meglio cominciare subito.

L'autore è stato uno dei più grandi alpinisti di tutti tempi. Il "Fortissimo" Giusto Gervasutti. Friulano d'origine, ha operato sia nelle dolomiti che nelle Alpi occidentali, compì a cavallo degli anni trenta fra le più importanti vie alpinistiche di sempre. Ancora oggi, la sua "Via est delle Grand Jorasse" conta pochissime ripetizioni.
Fece in tempo a pubblicare il suo libro, prima di perdere la vita durante l'apertura del pilastro del Mont Blanc du tacul, che ora porta il suo nome.
"Scalate nelle Alpi" è un diario storico, acido e dalle riflessioni a tratti contorte che porta la parola d'un grande alpinista uscito troppo presto dalla scena, che ancora avrebbe dato molto.

Buona lettura!
Gentili visitatori,
questo Blog ha preso vita per motivazioni decisamente personali, vuole esister dietro l'ottica di uno sfogo ideologico diretto ad un ambiente sempre più strapazzato e reso pericolante dall'uomo.
Chi l'ha realizzato e scrive questo post ama considerarsi prim'ancora d'un amante dell'alpinismo un montanaro, forse acerbo, ma con una filosofia imposta a vivere e rispettare l'ambiente, dalle sue pendici alle vette. Viviamo oggi in una società molto meno cosciente ai problemi ambientali di quanto ci s'immagini, dimostrata da una scarsa sensibilità alle problematiche che possono comporare un indebolimento del sistema naturale del pianeta, nonostante le possibilità d'informazione che si hanno rispetto a solo cinquant'anni fa. Forse semplicemente le si ignora volonariamente. Chiunque va considerarsi un buon ambientalista prende a cuore tali incoerenze, portando avanti campagne sfegatate (spesso ornate da un incoerente fanatismo) finendo più con stufare la coscienza di chi già ne possiede poca, pittusto che smuoverla. Tenendo conto di queste difficoltà si vorrà eventualmente invogliare i lettori a riapprociarsi umilmente all'ambiente, comprendendo l'importanza che si ha nel tenerlo lontano dagli spudorati interessi umani che van quasi sempre a stravolgerlo nella sua purezza.
Questo senso d'umiltià e concezione della montagna non è certo sempre stata avvertita, piuttosto forgiata da anni d'interesse, dalla ricerca d'un mondo primordiale che desse uno spiraglio dal soffocante contesto sociale, spirito d'avventura (solite balle insomma...) ma soprattutto raccontata dai grandi pionieri, grandi alpinisti e comuni mortali che prima di me hanno saputo estrapolare dalla natura i principi su cui impostare la propria esistenza.
Come fautore del blog, ordunque, prenderò impegno a curare tale passione mantenendolo più spontaneo possibile, un punto d'incontro per chi ha idee, interessi e storie di montagna...
Innauguro questa prima presentazione, forse un po' formale, che sia la prima di numerevoli seguiti e approfondimenti.

Cordiali Saluti.