giovedì 23 dicembre 2010

Patriottismo inverso

Non so chi di voi ha mai fatto caso all'Italia. Quante differenze, da regione a regione ma anche da paese a paese, da casa a casa. Un tesserino azzurro mi rivela italiano, ma questa vera nazione non l'ho mai vista, alla fin fine credo che non molte siano le differenze da duecent'anni a questa parte, da quando i nostri coraggiosi Garibaldi, Mazzini e Cavour ci hanno faticosamente uniti in questa bizzarro stivale tortuoso. Non esiste una forma omogenea nazionale, saremo sempre il paese delle mille sfumature.
Non parliamo poi di culture e tradizioni, che bagaglio ragazzi, quante meraviglie ma anche quante lacune. Ma parliamo di montagna forza, da quanto le terre dell'arco alpino occidentale hanno smesso di essere depravate della meraviglia con cittadine orribili??
Ora s'inizia a sciare (se l'iddio decide di mandar giù un po di neve), posti come Sestriere, Cervinia, Des Alpes e Monginevro sono tappe doverose allo scopo. Dimentichiamoci del gioco, ricordiamoci del posto, credo vi balzi in mente come si presentano i "campi base degli impianti, no? Non rammento località sciistica dall'architettura cementata, qualcuno dice essere alberghi o chissà che.... sicuramente porcate, ammettiamolo su. Ecco la nostra montagna cosa diventa, una buffonata a stile libero.
Fortunatamente non è sempre così, non proprio ovunque, ci son lande ove l'intelligenza ha mantenuto un paesaggio inviolato, dove la natura non è stata schiacciata dagli insediamenti turistici, dove la discrezione ha dimostrato che forse non sono i soldi a rendere l'uomo necessariamente ignorante a tutto ciò che apparentemente non lo riguardi.
Qualcuno forse avrà inteso un riferimento agli altoatesini, un grande esempio davvero, una regione che geograficamente appartiene all'Italia da ormai diversi anni ma, in tutto e per tutto caratterizzatada mentalità poco stivalesche e molto Österreich.
Questo morboso discorso volge ad una critica precisa, l'incapacità caratterizza gran parte dei comuni italiani a non saper valutare e proteggere il proprio territorio è un dramma. Andiamo ora in Piemonte, il mio Piemonte. Paesaggisticamente forse, la più bella regione: sempre diversa, mai piatta, ovunque ci si inebria dal dolce frastuono di fiumi e affluenti del vanitoso Po che ancora sgorga pomposo dalle viscere di una delle più splendide e regali punte dell'arco prealpino, il Monviso, e che poi traversa spensierato Torino, la prima capitale, città romantica e circondata da un paesaggio montuoso unico al mondo.
Non parliamo poi di Storia che diamine, non c'è fonte o libro che vada a mentire su momenti di rilievo incredibili come appunto l'era risorgimentale, i passaggi dei franchi con Carlo Magno, di Annibale, i segni di civiltà romana, ma andiamo ancora indietro e troveremo degli insediamenti delle popolazione celtiche e così via. Ovunque si trova tradizioni e valori di grande importanza.
Un mare di averi che, fatta qualche rara eccezione (le gratificanti rivalutazioni delle langhe e monferrato) son dominati da entità locali sempre più babbee, persistenti a far conoscere alle scolaresche le viscere della FIAT piuttosto che la Sagra di San Michele. Ma fosse questo il problema. Cittadine della fama di Susa ridotte in gran parte ad un cumulo di palazzine grigie e nere che portano il malcapitato a temere l'incontro con un malavitoso del Bronks, altro che purezza montana.
Eppure, già da quelle cittadine, basta alzarsi un poco di quota sulle strade e comodamente seduti sulla poltrona dell'automobile, traversare splendidi colli ed altopiani, raggiungere finalmente la confinante Francia e trovare l'agognato paesaggio ideale. Dico paesaggio e nient'altro, perchè parte rara eccezione quelle lande non hanno bagagli storici e culturali pari al nostro, ma poco conta, poichè quel "poco" (se così vogliamo chiamarlo), basta e avanza a chi vanta l'intelligenza nel dar al luogo il giusto resoconto.
Chi non conosce chissà cosa va pensando, quali formidabili prodezze di marchio francese vado mezionare? Pulizia, ordine, rispetto, educazione alla comprensione del territorio. Basta.
Son concetti molto semplici, che però a distanza di pochi chilometri sembrano fantascentifici. Tale diversità si riconosce non solo a prima vista, dalle persone che incroci per le strade, nei rari locali e soprattutto quelle che s'incontrano in montagna. Perchè fateci caso, ad esempio, quanti giovani italiani si danno oggi all'alpinismo, o più semplicemente scarpinano, campeggiano su terreni di quel tipo? Vi rispondo, molto pochi, non v'è che scarso interesse, meglio una spiaggia affollata o quanto esiste di peggio, una chiassosa discoteca. In Francia se ne vedono parecchi, sempre allegri, azzarderei dire anche appassionati, quasi sempre educati e mai sboccati, gliele riconosco tutte accidenti.
Rammento con piacere quella volta che tornando da una lunga sfacchinata fra punte e creste delle "marittime" che fan da confine la Valle di Stura con quella dell'Ubaye, incontrai al bordo del sentiero su un grosso prato, un vero e proprio concertino di strada (meglio di monte) allestito alla bene in meglio da alcuni giovani musicisti, appunto francesi. Che grande gioia davvero, ad un italiano non credo sarebbe mai balzato in mente... ma forse pecco di prevenzione.
Ora magari alcuni andranno pensando io sia una sorta di patriota inverso, un paladino napoleonico, qualcuno vorrà legnarmi sulla zucca dicendo "non ti va bene quì? Vai in Francia allora, levati per bene dai coglioni!"
In realtà molti sono i difetti che riconosco ai nostri cugini gallici, spesso e volentieri riscontro in loro alcune rare e irrefrenabili antipatie. Nulla si può dire però sui loro pregi, appunto uno (e forse unico) quello di saper valutare il territorio, amarlo e rispettarlo. NOI NO.
Fra i "padroni" delle Alpi, la popolazione sicuramente più indegna è quella italiana, in particolare i piemontesi. Vorrei tanto essere disdetto un giorno.

In conclusione, stando quantomeno in argomento terrei dare alcune segnalazioni sulla letteratura alpinistica. Menziono quella che ritengo impropriamente la "saga franca", dei tre autori che han dimostrato essere la "crem de la crem" di quegli anni. Uno è il già ampliamente emancipato "les conquistadors de l'inutiles" di Lionel Terray. Il secondo un alpinista di cui ben poco ci si ricorda ma che tanto ha dato a questa disciplina; parlo di René Desmeison con i suoi due rispettivi "Montagne à mains nues" (La montagna a mani nude) e "342 ore su le Grand Jorasses" (non oso menzionare correttamente il titolo originale), Il primo raccolta di scalate epocali, il secondo una singola recensione della drammatica disavventura su una delle montagne più bramate e sofferte di sempre. Infine non poteva mancare il grande Gaston Rebuffàt, con il suo postumo "La montagne est mon monde", una splendida raccolta biografica, testi e recensioni alpinistiche, narrate passionatamente in prima persona e raccolte dalla sua compagna e moglie Françoise Rebuffat.
Mi permetto inoltre segnalare un film-documentario che ho avuto la fortuna di recapitare, firmato sempre Gaston Rebuffat, "Etoiles et Tempêtes" è il primo di quattro film inerenti e vicintore della 4a Edizione Trentino Filmfestival.

Finisco davvero ora, lasciandovi però un assaggio del film che conto risvegli anche ai più abietti ricordi di altri tempi e magari un sapore umile e antico.

Buone riflessioni, buone letture & buona visione!!



martedì 14 dicembre 2010

Ma cosa te ne importa?


Fondamentalmente a governare lo spirito d'avventura è sempre l'inadattamento. E' quello che porta un essere umano, che fra le altre specie si differenzia per aver instaurato una sorta di società e di civiltà che lo distacca sempre più dal sistema naturale che lo adotta, a volersi riapprociare tornando bestia, ma forse semplicemente tornare a vievre con l'umiltà che dona nella sua complessità la semplicità stessa della natura.
Il problema principale dell'alpinista, del montanaro idealista, è quello di perdersi conintuamente in discorsi esistenziali e filosofici, discorsi che vanno spesso a perdersi o che si concludono alla stessa maniera: " la montagna è bella, punto".
Ma queste parole hanno sempre un desiderio ossessivo di far tornare nelle persone il dovere interiore di proteggere la montagna. La montagna è un luogo unico, per secoli rimasto inaccessibile a certe altitudini, mistico e leggendario. Evoluzioni e tecnologie hanno voluto poi che alcuni uomini s'interessassero a volerle ispezionare, cercare di conoscere quelle arroganti vette e non più solo temerle. Nacque così l'Alpinismo, naque dal solo desiderio di "conoscere", la vera ossessione eterna dell'uomo.
In montagna l'uomo torna animale, si ricongiunge con il fisico e con il corpo al sistema naturale ed è costretto ad adattarsi di conseguenza. In montagna ci si isola, si fugge da un sistema complesso e invivibile qual'è la società, si vuole star da soli con il proprio essere. E' dunque questo il paradiso, è quì che le sofferenze morali svaniscono? No. Ad accompagnarti è sempre la malinconia, il triste dovere di tornare con gli altri, con la gente. Maledetto pianeta, maledetti sian gli uomini che lo popolano. Ma allora perchè voler portarci persone? Perchè fare conosere loro un mondo che, più o meno, ancora non hanno soppresso?
La domanda che vien fatta più spesso a chi s'infuria verso chi distorge la motivazione e lo spirito dell'alpinismo è: ma cosa te ne importa?
Eh no, mi importa eccome. Importa voler far conoscere alla gente un mondo che non è quello che si pensa, non è solo la valanga che innonda lo sventurato incoscente, non è la friabile roccia che assurdamente qualcuno vuol ostinatamente aggrapparsi, non è quel sistema terribile che credevano gli avi di Neandhertal, vi assicuro, non esistono spiriti maligni che dalle vette vogliono sterminare chi le sogna dal basso. Diversamente, la montagna è un'amica sincera, sta poi a chi vuol conoscerla avere la coscienza di valutarne i pericoli, lei non ve li nasconde, credetemi, quelle piccole nuvolette paffute che a poco a poco si uniranno formandone un temporale, è sicuro.
Chi ama la montagna, chi la conosce sente il dovere di farla conosere agli altri, non ci son segreti. Questo significa imparare e rispettare, conoscere le leggi, colui che per accorciare la discesa taglierà con gli sci un fresco pendio di neve verrà punito, giustamente. Sembrano avvisaglie stupide, ma quante ne sentiamo ogni giorno? Gente che scompare, che precipita nei crepacci più insidiosi e chi si ritrova assurdamente colpito da un fulmine su una vetta himalayana alle due del pomeriggio. Parliamo quasi mai di dilettanti allo sbaraglio, spesso guide rinomate che, per qualche soldo in più, pretendono di sottomettere il sistema ai propri bisogni e lo sotovalutano. Tutto questo viene poi usato come pretesto per dipingere l'alpinismo come disciplina stupida e assurda. Siamo tutti dei pazzi noi alpinisti. Ma tanto, cosa me ne importa? Niente.
Un domani alzeremo lo sguardo verso un versante e vedremo un'altro impianto sciistico, un'altra seggiovia, un nuovo skilift. Un altro spiraglio di selvaggio è stato sottratto, è divenuto proprietà privata perchè ritenuto valicabile con gli sci solo se spianato dalle frese, un'altro frangente che andrà a riempire le tasche di qualche imprenditore. Alla faccia della montanga e dei fessi che ci crepano.

Sia chiaro, nessuno è nato ambientalista, tantomeno chi ama la montagna, credo. Quando però si ha un contatto tanto intimo con il sistema si acquisiscono coscienze che prima nemeno ci si immaginava, si capisce per davvero che la civiltà volge inesorabilmente a rendersi artefice del proprio disastro. Sembra esserci tanta stupidità.
Oggi la società dispone di mezzi e tecnologie, ma soprattutto di cultura necessaria per capire. Mettendo a frutto tutto questo è sì possibile salvarsi, è possibile riuscere a vivere in perfetta armonia con la montagna. Non c'è più il bisogno di fuggire dal selvaggio, non è più tanto inadattabile. Oggi c'è il dovere di ritornarci, non di sopravvivere ma vivere, questo con le tecnologie giuste è possibile.
E' un passo che a molti sembra inattuabile, fantascentifico, folle, ottuso. Io dico che è solo questione di abbattere un muro, un muro d'un cemento armato di quadruplo spessore, anche un muro che gente potente e dagli interessi spietati contribuiscono ad irrobustire.
Tutto questo un giorno, forse, però, verrà capito, combattuto, sconfitto, è solo questione di evolversi quel poco che serve.
Badiamo bene però, i tempi stringono, il pianeta è ancora vivo ma stanco, malato, quasi morto.

giovedì 9 dicembre 2010

Grandeour positivo


Lo chiamavano Berobocop , così ho letto, ma soprannomi adatti ce n'è quanti ne vogliamo. Per tutti è però noto come Patrick Berhault, per me solo da ieri sera quando per caso ho imbattuto su Youtube questo impressionante reperto.
Senza sapere chi fosse, è bastata una rapida occhiata per identificare il più grande scalatore mai esistito e sfido chiunque a rimanergli indifferente.

E' beffardo, oggi con un clic del mouse chiunque può godere di esibizioni atletiche formidabili su intinerari di rocce più disperati. Non c'è nemmeno più bisogno di andare in montagna. Vediamo cimbers di prim'ordine, celeberrimi, padroni delle tecniche del verticale avvolti da scenari di oscena bellezza, al cuore di chi vede, sembra mancare un solo legame che par davvero essere "il perchè?" di tutto questo.
Scriveva nel suo libro Giusto Gervasutti « Tutto quello che mi circondava, immobile e fermo, era assente. E allora mi chiesi ossessivamente "il perchè?" La risposta non venne e forse non verrà mai.»
Diversi anni dopo, in seguito ad innovazioni storiche e sociali, in seguito all'arrivo di nuove possibilità che han dato alle persone una nuova etica di vita, un giovane francese disse la sua in merito:
"Io arrampico per sentire in me l'armonia, perchè vivo dentro l'istante, perchè c'è una forma di espressione etica ed estetica per la quale io posso realizzarmi, perchè io ricerco la libertà totale del corpo e dello spirito. E perchè mi piace. "
Beh, non sarò certo io a dar lezioni di vita ad un maestro del calibro del Gerva, ma forse un Berhault in parte l'ha fatto. Il suo "perchè" ce l'ha trasmesso con un video.